martes, 13 de diciembre de 2022

IMMIGRATI TRENTINI A BAHIA BLANCA E NEL SUD DELLA PROVINCIA DI BUENOS AIRES (1880 - 1918)


IMMIGRATI TRENTINI A BAHIA BLANCA E NEL SUD DELLA PROVINCIA DI BUENOS AIRES (1880 - 1918)

Ana Cecilia Miravalles[1]

 (traduzione propia dell'articolo pubblicato nella rivista Cuadernos del Sur, n° 51, 2022, pp 123-152, https://revistas.uns.edu.ar/csh   https://revistas.uns.edu.ar/csh/article/view/3798/2077)

Abstract

Immigrants from Trentino, -namely, the South Tyrol-, a marginal territory of the Austrian Empire, but Italian-speaking, arrived in the Bahía Blanca area between 1880 and 1914. However, they usually go unnoticed in the mass of data and studies concerning the first wave of immigration in Argentina, confused between Italians, Germans and Croats. Reviewing the specific meaning of some key concepts such as “nation”, “homeland” and “linguistic community” at that time, allows us to question the mechanisms of production of identities and bonds of solidarity that we often take for granted. In this paper we intend to trace the presence of Trentini immigrants in the region and to analyze the scope and limits of the networks of links between them (labour, marriage, affective), and their various strategies of assimilation (or resistance) in local institutions, the role of the Austrian state with respect to its emigrants and that of the Italian state after the incorporation of Trentino into its territory.

 

Introduzione[2]

            Tra il 1898 e il 1908 c’era a Bahía Blanca un vivaio chiamato Il Piccolo Tirolo, una locanda chiamata Fonda Tirolesa e un’ altra dal nome Fonda Trentina, tra le tante che proliferavano in questa ancora piccola città, con nomi come ad esempio Milano, Torinesa, Marchigiana o Romana, in allusione, forse, alle regioni d'Italia da cui provenivano i loro proprietari o i loro potenziali clienti. Ma sebbene le parole Piccolo, Tirolo e Trentina fossero in italiano, gli immigrati tirolesi (oppure trentini) in quegli anni provenivano dal Regno d’Italia ma dell’Impero Austriaco. E infatti, di solito passavano inosservati.[3]  Nelle liste dei passeggeri che le compagnie di navigazione consegnavano nel porto di Buenos Aires al momento dell’arrivo delle navi, questi passeggeri, normalmente si identificavano come "tirolese", “trentino” o, il più delle volte, "austriaco". Anche nei censimenti argentini di 1869, 1895 e 1914 furono conteggiati tra gli “austriaci”, insieme a ungheresi, croati, polacchi e sloveni – tutti sudditi dell'Impero Austro-ungarico. È vero che, in un primo momento, non risulta facile stabilire quanti di questi "austriaci" fossero trentini, e neanche riconoscerli tra migliaia di nomi e cognomi italiani presenti in questa regione. Comunque, possiamo affermare (i nomi delle locande e del vivaio cosí lo suggeriscono, e con questo lavoro speriamo di dimostrarlo) che, tra il 1885 e il 1918, una discreta quantitá di uomini e donne trentini si stabilirono al meno temporaneamente in questa zona e, in particolare, nella città di Bahía Blanca.

Gli immigrati trentini non sono facilmente rintracciabili per diversi motivi,. Innanzitutto, i termini "impero", "nazionalità" e "comunità linguistica" possono avere diversi significati a seconda del contesto d’uso. Infatti, l'Impero austro-ungarico, di cui il Trentino fede parte fino alla sua dissoluzione nel 1918, non era uno Stato moderno, basato su una “comunità immaginata” (Anderson, 1993), né una potenza in espansione in delle colonie d'oltremare. La “nazionalità” indicata nei documenti e nei censimenti argentini faceva riferimento ad un'entità politica sovranazionale, l'Impero, appunto, che comprendeva 15 stati autonomi, con lingue  e religioni diverse, e tratti etnici e culturali singolari: austriaci di lingua tedesca, cechi, sloveni, ungheresi, croati, polacchi, friulani e infine, sud tirolesi, denominati anche trentini.

            Questa regione di lingua italiana dal 1819, godette di una completa autonomia economica e sociale riguardo al potere centrale. Per la popolazione, maggiormente contadina, insediata in piccole comunità nelle vallate alpine, l'imperatore asburgico appariva come una autorità indiscussa e come garante dell'ordine, ma allo stesso tempo lo si sentiva remoto e invisibile, poiché non esistevano istituzioni o funzionari che lo rappresentassero direttamente nel territorio. Perció, ai trentini di fine '800 viene attribuita un'identità "anfibia", caratterizzata dalla fedeltà alla figura dell'imperatore Francesco Giuseppe ma, al tempo stesso, da un forte orgoglio nella difesa della propria cultura e della propria lingua. Quindi, nel singolare contesto di questi paesi di montagna – dai quali proveniva la stragrande maggioranza degli immigrati – il sentimento di appartenenza della popolazione non era verso un'astratta entità Statale -l'impero o uno stato nazionale -, ma verso la propria comunità territoriale dei compaesani, cioè,  verso la patria del paese. [4]

In secondo luogo, diversamente da altri popoli sudditi dell'impero (croati, slavi, ungheresi e cechi) che, lungo tutto il Novecento hanno consolidato una propria tradizione storiografica avviata alla affermazione della propria identità nazionale, la storia del Sud Tirolo di lingua italiana è stata assorbita da, e integrata nella storiografia italiana, secondo la quale questa regione “irredenta”, sottomessa a un potere “straniero”, sarebbe stata “salvata” e “(re)integrata” nello Stato italiano solo dopo la Grande Guerra (Ascolani e Birindelli, 1990: 99 e seguenti). L’assoluta prevlaenza di questo punto di vista nel mondo accademico argentino spiega perché, negli studi migratori riferiti al periodo 1880-1914, i sudtirolesi (o trentini) non vengono mai menzionati,[5] tranne in qualche opera riferita all'insediamento di colonie nel nord-est del nostro paese, e come un fenomeno marginale e quasi anomalo dell'immigrazione italiana. [6]

            Inoltre, gli studi sull'immigrazione “austriaca” in America Latina e in Argentina, si occupano soltanto della comunità di lingua tedesca (Saenz Araya de Schwald e Fornieles, 2009). Altri, invece,equiparando etnie, lingue e Stati, si concentrano piuttosto sulle origini delle diverse identità nazionali che si sono istituzionalizzate in Europa nel corso del Novecento (polacchi, croati, ungheresi, cechi).[7]

            È vero che la corrente migratoria procedente dal Sud Tirolo (Trentino) che, tra il 1870 e il 1890, ebbe come meta il sud del Brasile (una migrazione organizzata, costituita da famiglie di coloni che diedero origine a città come Nova Trento o Santa Caterina), è stata studiata, sia in Italia che in Brasile (Grosselli, 1986; 1987; 1989 e 1991). Una certa attenzione ha ricevuto in alcuni saggi monografici anche la storia dei coloni identificati sí, con l’aggettivo “trentini” che si stabilirono, grazie alle agevolazioni garantite dalla legge Avellaneda del 1876, nel nord-est dell'Argentina, precisamente a Misiones, nei comuni di Corzuela, Pampa del Infierno e Quitilipi; nel Chaco, a Puerto Tirol; nella provincia di Santa Fe, nei comuni di Reconquista e Presidente Avellaneda; e nella provincia di Córdoba, a Sampacho (50 famiglie di coloni trentini nel 1879) e a Colonia Tirolesa (17 famiglie brasiliane, nel 1889). [8]

            D’altra parte gli studi dedicati all'immigrazione nel sud della provincia di Buenos Aires durante questo periodo, si basano piú che altro sulle informazioni statistiche riferite alle nazionalità di origine e alle diverse categorie occupazionali svolte dagli immigrati. Il problema è che, in questi studi, i trentini vengono conteggiati come austriaci quando si analizzano censimenti o statistiche, ma considerati immigrati italiani quando si tiene conto delle attività lavorative (Iglesias, 1968; López de Pagani et al., 1971; Caviglia , 1984; Weinberg e Buffa, 1991; Cernadas, 1994; Tolcachier, 1998). Infine, alcune monografie basate su interviste a persone arrivate dopo la prima guerra mondiale fanno riferimento all'immigrazione croata nell'area portuale di Ingeniero White (Chalier, 1996; Suarez, 2007), ma non sembra esserci nessun studio d’insieme sugli immigrati procedenti dell’ Impero austro-ungarico.

            Infine, un terzo ostacolo all'identificazione degli immigrati trentini è la quantitá e l’indole delle fonti disponibili. A differenza di quanto accade con le colonie in Brasile e nel nord-est dell'Argentina, nel sud della provincia di Buenos Aires le fonti specifiche per quest’analisi sono poche e gli scarsi riferimenti sono sparsi in documenti che sembra che tutto il tempo stiano a parlare d'altro. Nelle fonti nominative, i dati risultano dall'autodefinizione dell'interessato, per cui sono spesso imprecisi o incoerenti. Nelle fonti dove la nazionalità non è specificata (guide commerciali o articoli di giornale, per esempio) i trentini possono passare per "italiani", mentre quelli che, pur essendo italofoni, hanno cognomi quali Mochen, Pompermayer, o Hueller potrebbero venire conteggiati tra i tedeschi. Infine, le interviste realizzate dall'autrice tra il 1998 e il 2020 ai discendenti di immigrati giunti nel periodo studiato contengono informazioni generiche sui paesi trentini di provenienza e su alcune specifiche vicissitudini personali o familiari puntuale e naturalmente spesso rielaborate e rimaneggiate alla luce degli eventi posteriori e “modellate” sulle tracce di matrici narrative standardizzate. Abbiamo potuto osservare inoltre, che nelle testimonianze orali i ricordi familiari raramente risalgono al di lá di due generazioni.

            Comunque, l'interesse per rintracciare questi immigrati e per recuperare almeno parte della loro storia ci ha portato ad approfondire la ricerca e a fare una lettura attenta e meticolosa delle fonti disponibili. Il concetto di "rete fitta" proposto da Serna e Pons (2002) ci ha permesso di riflettere su quelle categorie di analisi —impero, nazionalità, patria e comunità linguistica— per osservare le peculiarità dell'immigrazione trentina in quest'area geografica, cioé, la città di Bahía Blanca e il suo porto, Ingeniero White, e piú genericamente il Sud-ovest della provincia di Buenos Aires.

            Per ció, in questo studio ci proponiamo, in primo luogo, calcolare approssimativamente la quantitá di immigrati trentini presenti nel sud della provincia di Buenos Aires tra il 1880 e il 1914. Con questo scopo, abbiamo preso in considerazione non solo i dati dei censimenti argentini, ma abbiamo rintracciato anche nomi e cognomi di uomini, donne e bambini trentini nelle fonti nominative disponibili — i libretti del Censimento Nazionale del 1895 e i libri parrocchiali della Cattedrale di Bahía Blanca (1884-1920), nonché i libri di matricola dei soci della Società Italiana di Mutuo Soccorso XX Settembre de Bahía Blanca (1882 -1920), [9] i registri di personale delle imprese ferroviarie Ferrocarril Sud e Ferrocarril Bahia Blanca Noroeste-Buenos Aires al Pacífico (1890-1920), e documenti anagrafici e familiari forniti dalle persone intervistate che hanno permesso, al meno di intravedere com’é stata la distribuzione degli immigrati trentini in quest'area.

            In secondo luogo, analizzeremo quale atteggiamento assunse l'impero austro-ungarico nei confronti dei suoi emigrati nel sud della provincia di Buenos Aires, e quale ruolo ebbe il suo rappresentante, il viceconsole onorario a Bahía Blanca. Abbiamo consultato, da un lato, i documenti corrispondenti al Viceconsolato austro-ungarico di Bahía Blanca, conservati presso l'Archivio di Stato di Vienna,[10] e, dall'altro, delle fonti indirette quali giornali locali e guide sociali della città e della regione.

            Infine, presenteremo alcuni tratti specifici dell'immigrazione trentina nel nostro territorio. Per rintracciare questa singolarità, abbiamo consultato gli atti nominativi e abbiamo interivstato parecchi discendenti di emigrati giunti prima del 1914. Questo insieme di informazioni ci ha permesso di individuare alcuni itinerari geografici, e osservare certe caratteristiche demografiche (composizione dei matrimoni, numero di figli, relazioni intrafamiliari), lavorative e culturali verificatesi in questa regione in particolare (Moya, 1996), una regione definita sulla base di un criterio economico il cui asse va dall'area di produzione agricola nelle Sierras de la Ventana all'area portuale di Ingeniero White, e che spiega perché questi immigrati trentini si sono stabiliti a Tornquist e in alcune localitá vicine, e soprattutto nella città di Bahía Blanca e il suo porto.

            Così, quindi, la quantità e la distribuzione degli immigrati, la politica specifica dell'Impero austriaco, e i tratti distintivi di questo gruppo di immigrati, ci permettono di tracciare un aspetto finora non studiato nella nostra storia regionale e, in particolare, nella storia dell'immigrazione in quest'area (Weinberg e Buffa, 1991; Cernadas de Bulnes e Bustos Cara, 1998).

            Rendere visibile questo gruppo migratorio, ben definito —per il suo territorio di origine e per i suoi tratti culturali—, ma che, tuttavia, forse come conseguenza della tradizionale preponderanza di approcci basati sul concetto di Stato-nazione, é stato ignorato tanto dalla storia dell'immigrazione italiana quanto da quella austriaca, é l’obbiettivo principale di questo studio.

            E inoltre, dato che in questi ultimi trent’anni molti discendenti di immigrati tra 1880 e 1914 hanno richiesto la cittadinanza italiana senza successo, può essere rilevante conoscere le circostanze specifiche di quella immigrazione e le origini della norma giuridica che ha regolato questa situazione particolare, osservando il modo in cui i concetti di “nazionalità”, “cittadinanza” e “cultura” vengono sovrapposti e reinterpretati alla luce di questa esperienza storica.

 

Trentini a Bahia Blanza e la zona

 

I dati ufficiali corrispondenti al numero di austro-ungarici nella capitale dell'Argentina e nella provincia di Buenos Aires si possono reperire nei censimenti nazionali e provinciali realizzati tra il 1869 e il 1914.

Figura 1. Numero di immigrati austro-ungarici registrati nella cittá di Buenos Aires, e nel territorio della provincia di Buenos Aires

 

Capital Federal (Bs.As.)

Provincia di Buenos Aires

Censimento 1869

542

115

Censimento 1881

 

284

Censimento 1895

3107

2446

Censimento 1914

7572

9154

 

Fuente: elaborato sulla base dei dati del Censimento Nazionale di 1869, Censimento Provinciale di 1881 e i Censimenti Nazionali di 1895 e 1914.

 

Si puó anche specificare la quantitá di austriaci in ciascuno dei comuni del sud della provincia di Buenos Aires

Figura 2. Numero di immigrati austro-ungarici registrati nei comuni del sud della provincia di Buenos Aires

 

Cens. 1881  

Cens. 1895  

Cens.1906  

Cens. 1914

Bahía Blanca

11

116

(con Tornquist)

470

589

Adolfo Alsina

 

9

 

82

Dorrego

 

11

 

14

Guaminí

 

4

 

143

Lamadrid

 

13

 

65

Olavarría

11

45

 

119

Patagones

 

 

 

25

Pringles

 

3

 

29

Puan

 

1

 

70

Saavedra

 

13

 

53

Suarez

 

11

 

280

Tandil

9

227

 

531

Tornquist

-----------------

         --------------

 

47

Tres Arroyos

4

20

 

49

 

Fonte: elaborato sulla base dei dati del Censimento Provinciale di 1881 e i Censimenti Nazionali di 1895 e 1914; e censimento del 3 giugno 1906, in Guía comercial de Bahía Blana y zona tributaria Colosimo (1908).

            Comunque, per distinguere quanti di questi austriaci fossero trentini e per raggiugnere almeno una certa approssimazione, é stato necessario rintracciarli come se fossimo usciti alla caccia dei trentini dispersi nell’immensitá del passato di questa regione della pampa argentina. È stato necessario rivedere le fonti nominative disponibili e creare una banca dati con i nomi e cognomi, e con le informazioni ricavate dalle fonti, accertando il luogo di nascita di ogni singolo individuo nella banca dati Nati in Trentino e nei “Ruoli matricolari” dell'Archivio di Stato di Trento (nei casi in cui é stato possibile). Così abbiamo calcolato, in modo approssimativo, la quantitá di trentini nella circoscrizione di Bahía Blanca. Il censimento del 1895 fornisce i seguenti dati:

 

Figura 3. Quantitá di immigrati trentini individuati nel Censimento di 1895

 

Austriaci

Trentini

Bahía Blanca (incl. Tornquist)

116

49

Adolfo Alsina

9

-

Dorrego

11

5

Lamadrid

13

4

Pringles

3

1

Puan

1

1

Saavedra

13

1

Suarez

11

-

Tandil

227

100

Tres Arroyos

20

10

 

Fonte: dati presi dai libretti del Censimento Nazionale di 1895.

Poi, nei libri di registro di battesimi, matrimoni e decessi della chiesa di Nuestra Señora de la Merced, unica parrocchia a Bahía Blanca in quel periodo, ci sono i nomi di 30 uomini e donne nati in Trentino. Nei libri matricolari della Società Italiana (1882-1920) compaiono iscritti altri 31 maschi adulti nati a Trento e in altri comuni del Trentino: il primo nel 1887, residente nel centro della cittá Bahía Blanca; 12 coloni domiciliati a Tornquist, iscritti tra 1888 e 1892; e tra 1890 e 1906 gli altri 19, a Bahía Blanca. Poi, nei registri di operai delle imprese ferroviarie risultano invece 32 uomini nati in Trentino. Infine, nel corso di diversi anni abbiamo contattato i discendenti di una cinquantina di immigrati del periodo studiato.

            Si puó osservare, dunque, che rispetto al numero di italiani arrivati ​​nel Sud della provincia di Buenos Aires quegli stessi anni, quello degli immigrati trentini è piuttosto esiguo, e la loro presenza sembra essere passata inosservata per causa anche della rilevanza, non tanto numerica ma soprattutto economica e politica, di immigrati provenienti da altre zone dell'Impero austriaco, in particolare da Trieste e dalla costa dalmata.

 

Austria in Bahia Blanca

 

L'Impero austro-ungarico aveva intrapreso relazioni diplomatiche con l'Argentina nel 1864, e dal 1872 funzionava un consolato generale a Buenos Aires, ma a Bahía Blanca non c’é stata una rappresentanza consolare fino al 1906. Tuttavia, abbiamo trovato che già nel 1881 c’erano alcuni "austriaci" in questa zona, quando questo non era altro che un villaggio sperduto nei confini della pampa. Il primo di cui si hanno notizie fu il dottor Giorgio Mandinich, uno dei primi medici della città, noto non solo per la relazione che scrisse sulla situazione sanitaria di Bahía Blanca, pubblicata nell'Annuario Statistico della provincia di Buenos Aires nel 1884, ma anche e soprattutto per la sua azione durante l'epidemia di colera del 1886. I piú influenti, peró, furono i fratelli Nicolás e Miguel Mihanovich (nati a Dolj, sulla costa dalmata) che, subito dopo la campagna di occupazione del territorio a carico del generale Roca nel 1879, con le loro navi Toro e Watergeus, quando il porto non era altro che un rustico molo di legno, si occuparono del traffico di passeggeri tra Buenos Aires e Bahía Blanca, e anche, dal 1881, del trasporto di materiali per la costruzione delle ferrvie e del molo provvvisorio della compagnia britannica Ferrocarril Sud nel porto di Ingeniero White. [11] In particolare, il fratello minore, Miguel, residente a Bahía Blanca tra 1881 e 1890, gestí la propria compagnia marittima in società con Felipe Caronti Casati, presente perfino come capitano sulle proprie navi, e con una attiva partecipazione alla vita sociale ed economica della localitá.[12]

Quindi, forse, al ruolo decisivo dei fratelli Mihanovich e a quello dei loro ex soci e connazionali, i fratelli Cosulich (proprietari della potente Compagnia austro-americana di navigazione, con base al porto di Trieste, e con un ufficio a Bahía Blanca dal 1906 si deve la presenza di un gran numero di immigrati dalmati e istriani nella localitá portuale di Ingeniero White. Tra gli operai del Ferrocarril Sud, e in particolare tra i marinai che operavano le draghe al porto, e tra i braccianti delle saline ci sono cognomi come ad esempio Marsanich, Salnich, Ragusín, Busanich, Suttora, Vidulich, Stuparich, Martinolich, Nicolinich, Radetich, Sablich, Filinich, Sisul, Oggersnigg, ecc., molti dei quali nati a Lussin Minor (Mali Losinj), da dove provenivano i fratelli Cosulich.

            La monarchia austro-ungarica aveva una politica diversa dalle altre nazioni europee nei confronti dei suoi emigrati.[13] In realtá, non esisteva né la cittadinanza austro-ungarica né il passaporto austro-ungarico, e spettava alle autoritá locali nei diversi punti dell’Impero l'autorizzazione per partire. In Trentino alcuni passaporti venivano rilasciati dalle Capitanerie Distrettuali, ma la maggior parte degli emigranti partiva senza questo documento,[14] e solo nei porti europei i rappresentanti consolari raccoglievano i dati di quelli che si imbarcavano poiché il suo utilizzo non era obbligatorio (Prutsch et al., 2017).[15] Secondo un "brevetto imperiale" del 24 marzo 1832, gli emigranti dell'impero, per non essere considerati disertori, perdevano la cittadinanza al momento della partenza (apolidi). Come conseguenza, all'estero, non potevano trasmetterla direttamente ai loro figli in nessun modo.[16] Dopo questo brevetto, tranne una norma del 1867, non fu emanata alcuna legge che prevedesse la protezione e la tutela dei diritti dei propri cittadini all'estero fino al 1913, quando fu emanato un regolamento il cui obiettivo principale era quello di impedire la partenza dei giovani atti per il servizio di leva militare. L'impero si presentava come uno stato unitario solo nell’ambito della politica estera, e incarnato nella figura dei suoi rappresentanti all'estero: i suoi ministri (o ambasciatori) e i suoi consoli.

            Comunque, il governo austriaco non inviava consoli, bensì nominava quel connazionale emigrato che si fosse candidato per svolgere il ruolo, interessato ad accrescere il proprio prestigio sociale e le proprie opportunità di affari. Ma la maggior parte degli emigranti mancava del livello educativo ed economico necessario per questa funzione. Quindi, se nessun austriaco riuniva le condizioni necessarie per adempire la carica, un cittadino straniero poteva candidarsi ed essere nominato console. Così, negli Stati Uniti, l'impero austro-ungarico ebbe diversi consoli tedeschi (Agstner, 2012b; Deusch, 2017). E per questo motivo, a Bahía Blanca fu un inglese nato a Trieste, Joseph Oliver Croft, l’uomo che rivestí la carica di Viceconsole onorario, dal 30 novembre 1906.[17]

            Il console era tenuto a realizzare le pratiche a favore delgi emigrati, specialmente per l'invio di denaro sotto forma di rimesse nella terra d'origine, raccogliere e fornire informazioni su opportunità di lavoro, e soprattutto, nel caso particolare di Bahia Blanca assitere le navi di  bandiera austriaca che sarebbero arrivate sempre con più frequenza al porto.[18] Croft si era già presentato come candidato nel 1896 e nel 1902, ma la sua nomina era stata rinviata a causa della mancanza di informazioni precise e aggiornate sul numero di sudditi austriaci nella zona, e perché l'obiettivo delle autoritá del ministero di affari esteri era trovare qualche candidato austriaco.[19]

Tuttavia, il prevedibile aumento del numero di navi austriache nel porto di Ingeniero White, la presenza di famiglie di coloni austriaci (trentini, slavi e anche alcuni ungherei) a Tornquist, e l'afflusso di lavoratori procedenti dal nord della provincia di Buenos Aires, attratti dalle possibilità di lavoro nei porti e nelle  ferrovie, resero urgente la presenza di un console. La distanza di quasi 700 chilometri tra Bahía Blanca e Buenos Aires era una grande difficoltá per portare a termine molte procedure,[20] e perció spesso gli immigrati dell'impero avevano dovuto richiedere assitenza ai consoli di altri paesi residenti a Bahía Blanca. Addirittura, e in modo informale, era proprio Croft che agiva come collegamento tra il Consolato d’Austria a Buenos Aires e le navi austriache al porto,[21] come ad esempio, quando in 1902 il piroscafo Principessa Cristina, procedente da Lussinpiccolo, la città dei fratelli Cosulich, subì grossi danni per causa di un forte temporale nel porto di Ingeniero White.[22]

            Per questo motivo, dopo una visita a Bahía Blanca del Barone Von Rhemen, Ministro-Ambasciatore d'Austria-Ungheria, e considerando che nessun austriaco residente in questa zona aveva la qualificazione minima richiesta, nel 1906 fu ammessa la candidatura di Joseph Croft. Era nato ed era stato educato a Trieste, quindi conosceva per esperienza personale la situazione dell'impero, abitava a Bahía Blanca dal 1887, ed era socio di una delle più importanti case commerciali di importazione ed esportazione della città e la regione, Diego Meyer y Cía., i cui proprietari — lo stesso Meyer e John Denker— svolgevano, allo stesso tempo le funzioni di consoli di Germania e Olanda. Inoltre, Croft parlava correntemente il tedesco, l’italiano, il croata e l’inglese, come richiesto dal Ministero del Commercio dell'Impero. [23] Dopo che fu definita l’area amministrativa corrispondente a sud del parallelo 37°, informate le autorità marittime di Fiume e Trieste furono informate,[24] il Viceconsolato di Bahia Blanca inizió a funzionare formalmente il 17 agosto 1907, con sede nella residenza di Croft, nella cosiddetta “casa catalana”. [25] Croft non riceveva alcun compenso per le sue funzioni, e anzi aveva a suo carico tutte le spese (tranne quelle delle pratiche ufficiali), con l’impegno di inviare rapporti periodici sulla situazione in ambito locale. [26]   

Dunque, pure qui a Bahia Blanca il viceconsolato dell’impero austriaco fu creato con lo scopo di promuovere il commercio austriaco e assicurare l’assistenza alle navi, e ai commerciante e marinai nel porto. La documentazione del consolato di Bahia Blanca finora consultata non contiene altri riferimento alle attivitá di Croft come viceconsole, né alla situazione degli immigrati. Conosciamo solo i nomi dei suoi garanti “austriaci” residenti nella cittá (Johan Cosulich, Peter Bertelich, Karln Schnitzer, Ferdinand Schattner, J. Czaplinsky, Arturo Rossi e Joseph Oser). Invece, del suo rapporto con gli immigrati trentini abbiamo solo pochi indizi: da un lato la moglie, Adolfina Vlieghe, era stata, poco prima del loro matrimonio, una delle "discepole care" del pianista e maestro di musica Isidoro Ghezzi; [27] dall'altro, la sua nomina a viceconsole era stata sostenuta anche da tre potenti proprietari terrieri, H. Fuhrmann, Ernesto Tornquist e Wilhelm Altgelt con interessi commerciali e immense proprietà a Bahía Blanca e anche nella zona della Sierra de la Ventana, dove, appunto, si insediarono diverse colonie agricole, tra cui quella di Tornquist, dove si stabilirono diverse famiglie trentine.[28]

            Quindi, tenendo conto della posizione marginale del Trentino nell'impero, di fronte all'importanza raggiunta dai porti di Trieste e di Pola, e dall'industria marittima sulla costa dalmata, gli immigrati trentini non solo non furono in molti, ma non hanno neanche avuto delle personalitá di spicco né un peso politico o economico significativo a Bahía Blanca o nella sua area di influenza. Tuttavia, sulla base delle testimonianze disponibili, risulta possibile rintracciare la loro presenza e le loro attività in città e in campagna, ed analizzare la loro particolare situazione durante quei primi anni del XX secolo.

 

Immigrati trentini nel sud della provincia di Buenos Aires

 

L'arrivo di un gran numero di immigrati, tra cui alcune centinaia di trentini, nel sud della provincia di Buenos Aires - sia alla zona rurale che a Bahía Blanca e al suo porto – si produsse appena si conclusero le campagne militari di occupazione effettiva del territorio – la cosiddetta "campagna del deserto" – dalla metà degli anni 1880, momento dell'inizio dell'espansione agricola e della costruzione del porto e delle ferrovie. Molti di questi lavoratori arrivarono dopo essere stati per qualche tempo in Uruguay o in Brasile, o in altre località situate più a Nord della provincia di Buenos Aires: da Tres Arroyos arrivò il professore di pianoforte Isidoro Ghezzi con moglie uruguaiana e una piccola figlia nata in Argentina; da Tandil giunse la vedova di Giuseppe Ferrari, Maria Pasi, con il suo secondo marito, Cirilo Campestrin, e i figli del suo primo matrimonio; da San Fernando, dove si erano sposati qualche anno prima, arrivarono Giocondo Menestrina e sua moglie María Segata; e dalla capitale, dalla città di Buenos Aires, dove aveva lavorato per un paio d'anni, arrivò Francesco Nardelli. E lo fecero proprio nel momento in cui questa remota (agli occhi di Buenos Aires), e per molti versi ancora precaria località, cominciava a diventare una promettente città portuale e a beneficiare dell'accelerazione dello sviluppo agricolo regionale.

Contemporaneamente, tra il 1884 e il 1890, alcune famiglie trentine si stabilirono nella colonia di Tornquist, a 70 chilometri di distanza, ai piedi delle Sierras de la Ventana, insieme a un consistente gruppo di famiglie tedesche, svizzere e italiane: Alberto Mochen, sua moglie Domenica Gramola e i loro figli; Pietro Rosa, Luigi Montibeller e Maria Toller con quattro figli; Domingo Pompermayer con la moglie Maria Hueller e i loro cinque figli; José Zen e sua moglie Catalina Toller; Stefano Toller con la moglie Anna e il fratello Giuseppe; Pietro Bazzanella con la moglie Giovanna Oberosler, il fratello Francesco e il connazionale Giovanni Dalceggio; Secondo Corn e, pochi anni dopo, Felice, Ferdinando e Leopoldo Iseppi, e Domenico Hueller e sua moglie Anna Rozza. Grazie alle agevolazioni previste dalla ditta che intraprese l’istalazaione della colonia, questi coloni furono in grado di acquistare le proprie chacras, ovvero fattorie di estensione variabile tra i 70 e 240 ettari con la possibilitá di pagarle a rate nell'arco di sei anni. Stabilitisi cosí, propiziarono l'arrivo di altri parenti e compaisani (giovani uomini singoli) che si integravano nelle unitá produttive come operai e bracccianti per il lavoro nei campi.

Tuttavia, tra questa colonia di Tornquist e quelle che si erano stabilite alcuni anni prima nelle province nord-est dell'Argentina, ci sono delle differenze significative. Innanzitutto molte delle colonie del nord est furono il risultato dell'iniziativa statale, come conseguenza dell’applicazione della legge Avellaneda di colonizzazione agricola del 1876. D'altra parte, quando nel 1878 la legge Avellaneda fu sostituita dalla Ley de ventas per compensare il forte deficit pubblico, immense estensioni di terre pubbliche della provincia di Buenos Aires (terre ancora inculte) furono acquisite da grandi proprietari, allevatori di bestiame e cosí, la politica di colonizzazione rimase interamente in mani private. Per questo motivo, le prime colonie in questa zona del sud della provincia di Buenos Aries (Sauce Corto, Arroyo Corto, Pigüé e Tornquist) furono fondate da imprenditori capitalisti (Casey e la società Curamalán, Stroëder e Tornquist), che promossero lo sviluppo agricolo (coltivazione di grano, mais e altri cereali) per accrescere il valore e la fertilitá delle terre, e favorire posteriormente, peró, la semina di forraggi raffinati per l’allevamento di bovini per l’esportazione (Martinelli e Acosta,  2016; e Rey, 1974). Queste colonie agricole del sud ovest della provincia di Buenos Aires furono il punto di partenza dell'esplosiva crescita della produzione di cereale e di conseguenza, l’inizio  dell’intensa attivitá di esportazione attraverso il porto di Bahía Blanca. Tuttavia, il rapido fenomeno della compravendita di chacras, che in alcuni casi furono acquisite dai grandi possidenti e annesse alle grandi estancias (Quinteros, 2002), fu provocato dalla necessità dei coloni di accedere a unità produttive più grandi per sostenere nel tempo i guadagni; e, dal 1900 il predominio del sistema di arrendamiento o affitto dal 1900 fu ancora un’altra causa per cui, in pochi anni, questi coloni trentini si allontanarono dalla colonia di Tornquist e si dispersero nella zona.

Cosí accadde alla famiglia di Alberto Mochen e di sua moglie. Mentre i due coniugi dopo parecchi anni in campagna Tornquist, ormai anziani, si stabilirono nella citta di Bahía Blanca, due dei loro figli e uno dei generi si stabilirono nei pressi di Bajo Hondo e Calderón, in campi di 450 e 500 ettari. Un altro dei loro figli, Silvio, fu uno dei soci fondatori della Cooperativa Agricola Bajo Hondo. Anche Pietro Bazzanella, uno dei coloni di Tornquist, si trasferì come affittuario, chacarero, a Bajo Hondo nel 1900, in una proprietà di 450 ettari; poi passò a Cabildo, tra il 1908 e il 1918; e infine divenne proprietario di 200 ettari a Chasicó. Da parte sua, Domenico Pompermayer, di Tornquist, si trasferì con la sua famiglia, prima in un campo a Dufaur, e poi a Guaminí. Infine, le altre famiglie di coloni provenienti dal Trentin, i Montibeller, Toller, Zen, Hueller, Iseppi, si trasferirono in diversi campi nella zona rurale tra Cabildo, Saldungaray, Tornquist e Coronel Pringles.

Un'altra differenza riguardo alle colonie del nord est dell'Argentina era che non c'era possibilità di tentare fortuna in altre colonie vicine perché erano poche e le distanze tra un paese e l’altro erano molto grandi, e quindi, quasi tutti gli uomini singoli (fratelli, nipoti, compagni dei coloni che erano invece con le loro famiglie, come Abramo Eccher, Giuseppe Groff e Pietro Rosa), dopo un breve tempo in campagna con i coloni si trasferivano in Bahía Blanca,  dove l'offerta di lavoro era più ampia e varia. La costruzione dei porti di Ingeniero White e Galván a Bahia Blanca, e le linee ferroviarie da parte delle compagnie britaniche Ferrocarril Sud e Ferrocarril Bahía Blanca Noroeste-BAP, e anche le immense opere del Porto Militare e Arroyo Pareja, generarono molteplici opportunità di lavoro, pari a quelle nell’ambito dell’edilizia, il commercio e la nascente industria legata all'attività agricola. Così, molti di loro, da lavoratori in campagna Tornquist nel 1895, verso il 1900 erano diventati operai nelle ferrovie nel porto nella localitiá portuale di Ingeniero White.

Inoltre, già dal 1885, sia in cittá che al porto c’erano alcuni operai e commercianti trentini, ma il loro numero aumentò dopo il 1900: dei muratori (Francesco Modesto, Ignazio Carli), falegnami (Augusto Bonomi), fabbri (Enrico Herzog e Luigi Bugnoni) e almeno un pittore (Pietro Parisin). Alcuni lavoratori ferrovieri trentini con le loro famiglie arrivarono da altre parti della provincia di Buenos Aires e si stabilirono a Bahía Blanca, come fu il caso di Cirilo Campestrin, un operaio del Ferrocarril Sud, che si stabilì a Ingeniero White con la sua famiglia. Anche Giorgio Pola, a carico di una cuadriglia di Vía y Obras del Ferrocarril Rosario Puerto Belgrano, e sua moglie, Domenica Bailoni, vissero per parecchi anni nelle carrozze-residenza che la compagnia forniva come abitazione in ciascuna delle stazioni in cui doveva lavorare; infatti i loro figli frequentarono diverse scuole in alcune localitá o posti in campagna di quel ramo ferroviario (Coronel Suárez,  Huanguelén, il Divisorio). Anche nelle quadriglie di Via e Obras, troviamo diversi cognomi trentini: Luterotti, Agostini, Beltrami, Zamboni, Taberotti, Bassetti, Flessati, Battajiola. [29] Infine, alcuni emigrati tornarono in patria (come Francesco Berti, socio del famoso garage londinese di Estomba Street, nel 1913) e altri invece si trasferirono in altre località della provincia di Buenos Aires (Ludovico Molpen, Placido Rizzadri e sua moglie Virginia Forno).

I trentini non riuscirono a costituire un gruppo compatto e coeso né alla colonia di Tornquist e meno ancora nella città di Bahía Blanca. Anche se di solito il nuovo arrivato sostava al meno per un po´ nella casa o nella locanda di uno dei suoi compaesani, il luogo di residenza era determinato dalle attivitá che svolgeva o dal posto lavoro che riusciva ad ottenere. Cosí, sia i ferrovieri qualificati – come Egidio Ferrari, macchinista, o impiegati amministrativi, come Reginaldo Bertotti nella stazione di Garro nel porto di Ingeniero White o Mario Bertolini nella stazione della Ferrovia Bahia Blanca Noroeste – sia gli operai o segnalatori come Francesco Segata e Cirillo Campestrin, occupavano case di legno e lastre metalliche oppure cabine (le cosidette colonias) fornite dalle compagnie ferroviaria nei pressi dei diversi posti di lavoro, sparsi peró in diversi punti della cittá e la localitá portuale. In centro cittá si stabilirono alcuni trentini con le loro case commerciali – qualcuno come proprietario, oppure come inquilini a lungo termine: Francesco Berti prosperó, assieme ai suoi soci, con un’importante casa di noleggio di carrozze e vehicoli in via Estomba; Antonio Bertamini, con il suo vivaio “Il Piccolo Tirolo”, di fronte all’ Hospital Municipal , e Franceso Nardelli riusció a  consolidarsi come commerciante e macellaio in via Castelli. Vicine alle due grandi stazioni di treni di Bahia Blanca gestirono le loro locande  Giocondo Menestrina e Massimo Nascimbeni.e anche gli ignoti proprietari  della Fonda Trentina, la Fonda Tirolesa.

Così, allora, forse a causa del loro esiguo numero e della dispersione geografica, i legami perdurarono solo tra le famiglie provenienti dalla stessa valle trentina, e soltanto per una generazione: da una parte, i coloni di Tornquist, procedenti da Marter de Roncegno, ad eccezione della famiglia Mochen; d’altra parte, gli Agostini, Menestrina, Segata e Nardelli, da Sopramonte; poi, Bugnoni, Santuliana e Herzog, dalla zona di Arco-Rovereto; e infine, i Carli, Ferrari, Pasi e Campestrin, dalla Val Giudicaria. Infatti, soltanto nella colonia di Tornquist, tra 1885 e 1910 i rapporti intrafamiliari furono più o meno stretti: troviamo alcune nozze tra i loro figli, o alcune figlie con dei giovani maschi trentini giunti pochi anni dopo (come ad esempio Luigi Montibeller e María Toller, i giovani Iseppi e Dalceggio, o Domenico Hueller sposato con Ana Rozza); anche nei registri di battesimo, trovarono madrine e padrini  a vicenda i membri delle famiglie Montibeller, Zen, Toller e Corn. Invece, i matrimoni con donne italiane della stessa colonia (Giocondo Corn e Maddalena Barbieri) oppure con persone argentine e di qualsiasi altra origine (come ad esempio Elvira Mochen con Juan López Roldan, sua sorella Desolina con Manuel Martínez) furono molto più frequenti. Anche i padrini dei bambini erano spesso argentini, spagnoli o italiani, e, allo stesso tempo, alcuni trentini furono padrini di bambini figli di spagnoli e argentini.

La rapida assimilazione è stata ulteriormente favorita da altri due fattori. Da un lato, é vero che, oltre alle famiglie giunte in Tornquist (padre, madre e parecchi figli), alcune coppie di trentini sposati si stabilirono a Bahía Blanca (come ad esempio Giuseppe Agostini e Giovanna Vindemian, Enrico Nicoletti e Teresa Laner, Luigi Bugnoni e Angela Santuliana, per esempio), tra cui alcuni, sposati in Argentina (María Pasi e Cirillo Campestrin, sposati a Tandil, Giocondo Menestrina e María Segata a San Fernando); ma con molta piú frequenza, gli uomini arrivati singoli, sposarono delle donne italiane (Enrique Herzog e Rosa Pozzo Ardizzi, italiana) o argentine (Egidio Ferrari, Francisca Pérez; Celestino Menegol, Valeriana Echevarría; e Francisco Nardelli, Concepción del Valle).

D'altra parte, i figli di tutti loro, nati e cresciuti in città o in campagna, frequentarono una delle tante scuole primarie pubbliche che si trovavano in città e nelle località della zona, poiché la scuola è obbligatoria dall'età di 6 anni. Anzi, addirittura, alcuni figli e figlie di genitori trentini fecero gli insegnanti: una delle figlie di Alberto Mochen fu maestra in una scuola pubblica a Bahia Blanca; il figlio di Giocondo Menestrina, Juan Luis, rivestí la carica di professore di latino e letteratura spagnola al Colegio Nacional di Bahía Blanca, e le sue sorelle, Luisa, Ana, Maria Julia e Maria Auxiliadora, tutte suore, furono per lunghi anni maestre di scuola nel Colegio María Auxiliadora.

Infine, dalla lettura della corrispondenza e delle interviste con i discendenti di trentini giunti nel periodo sotto studio, sembra che, a Bahía Blanca, queste persone e famiglie avessero costruito costruirono dei legami di sostegno e solidarietà con persone di qualsiasi altra provenienza, per motivi di lavoro e quindi di classe.

E poi se la coesione tra i trentini fu assai debole, praticamente inesistente sembra essere stato qualsiasi senso di appartenenza nazionale all'Impero austriaco. Questa mancanza di identificazione con la monarchia austro-ungarica come patria d'origine è dovuta, forse, a diversi motivi.

In primo luogo, la colonia di Tornquist era composta da famiglie di varia provenienza (spagnoli, italiani, tedeschi della Russia zarista, svizzeri, danesi, svedesi), a differenza di altre colonie in questa zona (ad esempio, a Pigüé e i coloni francesi dell'Aveyron).  Inoltre, i coloni, al meno quelli d’origine trentina, si sparsero in diversi punti del sudovest della provincia di Buenos Aires, motivo per cui i legami tra loro si indebolirono, e se ci fossero stati, i rapporti con il rappresentante consolare, sarebbero stato molto piú difficili a causa delle distanze, e della dispersione geografica.

Un'altra ragione fu che, malgrado la presenza di rappresentati diplomatici nella capitale, e di una Società austro-ungarica di mutuo soccorso promossa da Nicolás Mihanovich a Buenos Aires dal 1899, la monarchia austriaca non aveva previsto istituzioni di assistenza ai suoi emigrati. [30] Perció, con lo scopo di avere protezione medica e una assicurazione in caso di malattia o infortunio, gli immigrati trentini si associarono alla Società Italiana di Mutuo Soccorso XX Settembre di Bahía Blanca,[31] tanto i coloni di Tornquist – quando nel 1889 la Società Italiana creò un sottocomitato in quella localitá e nominò una persona incaricata di riscuotere la quota mensile nella colonia – quanto quelli stabilitisi a Bahía Blanca e Ing. White. Si puó leggere nel Registro ammalati che alcuni di loro furono visitati da noto dottore Leónidas Lucero e ricevettero un'indennità per malattia, ad esempio, Pietro Parigini, Isidoro Ghezzi, Anibale Marcolla, Pietro Flessati e Ignazio Carli. [32]

Infine, va considerata anche la questione della lingua e della comunità linguistica di riferimento. Sebbene il tedesco fosse stata la lingua delle classi dirigenti e delle élite intellettuali ed economiche dell'Impero, la maggior parte della popolazione contadina trentina conosceva solo poche parole di tedesco, poiché non veniva insegnato nelle scuole primarie del Trentino (Antonelli, 2015). Infatti, l'italiano era la lingua d'uso nell’area del Sudtirolo fin dal Medioevo, il suo insegnamento era stato garantito dalla legge austriaca fin dai tempi dell'imperatrice Maria Teresa (1775), e veniva utilizzato per risolvere tutte le questioni commerciali, amministrative e giudiziarie. Pertanto, i nomi e i cognomi di buona parte dei trentini erano italiani, la loro lingua madre era il proprio dialetto di matrice latina, e a scuola imparavano l'italiano. Da emigrati, scrivevano le loro lettere in "italiano", anche se in realtà quella era un'interlingua nella quale s’abbinava il modello letterario toscano imparato nella scuola popolare del paese, con il dialetto trascritto a orecchio, nel miglior modo possibile. Per tutti questi motivi, dunque, pero loro, molto probabilmente, il console austro-ungarico, e per di piú un inglese nato a Trieste, non era che uno straniero in piú.

Comunque, d'altra parte, ci si potrebbe chiedere se questi immigrati trentini si fossero identificati invece con la comunità italiana di Bahia Blanca. (Martinez Flener e Prutsch, 2018). Infatti, in queste terre si trovarono di fronte a una grande quantitá di immigrati italiani procedenti da tutti gli angoli della penisola, in tutti i livelli sociali, e con una partecipazione attiva in quasi tutte le istituzioni della cittá, con le loro scuole private e propri spazi ricreativi – la Società Italiana di Mutuo Soccorso XX Settembre, la Società Italiana di Mutuo Soccorso, la Società Italiana Meridionale,  la Societá Unione Operai, diverse logge massoniche e persino, a volte, delle pubblicazioni in italiano come L'Italiano o La Frusta. Anche lo Stato italiano, attraverso il suo console, riuscí ad avere una forte presenza pubblica, con notevole profusione di atti, parate e discorsi in occasione di ricorrenze patriottiche sia argentine che italiane, con il sostegno della prospera borghesia locale, che contava con parecchi italiani tra le sue figure più cospicue.

Anche se qui, naturalmente, non ci fu l'ingrediente specifico dell'irredentismo, l'efficacia di quei discorsi si fece quando, appena iniziata la guerra, il 7 agosto 1914, su uno dei quotidiani locali, La Nueva Provincia, si leggeva: "L'Italia dichiara guerra alla Germania. Il popolo italiano chiede la riconquista di Trento e Trieste".[33] Tuttavia, è probabile che per questi immigrati arrivati tra il 1885 e il 1912, tutta questa retorica nazionalista legata all’irredentismo, nonostante la sua diffusione tra le classi borghesi in Trentino, fosse stata qualcosa di così remoto e lontano come risultava per loro anche quello stato imperiale e il suo imperatore Francesco Giuseppe. Per di piú, loro non vissero in prima persona le situazioni estreme che i loro parenti e compaesani soffrirono in Trentino dall'inizio della guerra nel 1914: né la leva e la mobilitazione di tutti gli uomini tra i 17 e i 45 anni verso il fronte orientale, soldati dell’esercito austriaco contro i russi in Galizia, in Polonia, né le lunghe marce verso il fronte di combattimento, né la morte di compagni e parenti, né la prigionia in Russia né, dopo il 1915, l'apertura del fronte meridionale contro l'esercito italiano e la conseguente evacuazione della popolazione civile dai villaggi situati nella linea di fuoco verso altre regioni dell'impero. Di tutte queste circostanze e terribili esperienze, che costrinsero i trentini rimasti nella loro terra a porsi radicalmente la questione della patria in termini di nazionalità, i trentini presenti nel sud della provincia di Buenos Aires avrebbero potuto venirne a conoscenza soltanto attraverso la corrispondenza epistolare con i loro parenti, se fosse stata possibile, poiché la stampa locale, durante tutto il conflitto, solo riportava, e con tanti particolari, i movimenti, le sconfitte e le vittorie dell'esercito italiano. Infatti, sulla rivista culturale locale Arte y Trabajo del settembre 1918, sotto due fotografie delle cittá di Trento e Trieste, si legge: "Le nobili aspirazioni italiane".[34]

A questi fattori si aggiunge la questione giuridica della cittadinanza. Appena finita la guerra, il 10 settembre 1919 fu firmato il Trattato di Saint Germain, per la regolazione dei rapporti tra il Regno d’Italia e i territori che erano appartenuti all'Impero austriaco. Gli articoli 70 e 78 stabilivano che l'annessione del Trentino implicava ipso facto l'estensione della cittadinanza italiana a tutti i residenti in quel territorio e anche a quegli emigrati, che nel corso di un anno, a partire dal 1919, fossero tornati in Trentino, condizione questa che era, in pratica, irrealizzabile per la maggior parte di coloro che si trovavano in America, sia per ragioni economiche oppure perché non riuscirono neanche ad avere notizia di questa condizione. Poi, il 12 novembre 1921 fu sancito il Regio Decreto n. 1594 per regolamentare questa disposizione, che stabiliva la realizzazione di un censimento generale della popolazione nei territori annessi al Regno d’Italia dopo la guerra, a carico del podestà di ciascun comune, e che offriva agli emigrati la possibilità, per un anno, di presentarsi davanti al corrispondente consolato italiano ed esprimere la propria volontà di acquisire la cittadinanza italiana. Ma in America furono pochissimi quelli che ricevettero queste informazioni, e ancora meno quelli che eseguirono la procedura corrispondente nel corso deli’anno 1922. Solo settanta anni dopo, nel 1992 è stato ammesso il principio della "doppia cittadinanza", cosicché i trentini emigrati prima del 1920 ottennero un riconoscimento da parte dello Stato italiano: comunque, la cittadinanza italiana poteva essere concessa ai discendenti di emigrati austroungarici di lingua italiana solo fino alla seconda generazione, e a condizione che si fossero trasferiti in Italia (Olivetti, 2009). Fu nell'anno 2000, con la legge 379, che il diritto alla cittadinanza italiana fu riconosciuto aegli emigrati prima dell'annessione del Trentino al regno d'Italia e ai loro discendenti. Infatti, questa legge riconosceva il diritto "per scelta" con effetto ex nunc, facendo riferimento alla data della dichiarazione di volontà dell'interessato, piuttosto che un diritto di sangue iure sanguinis. Tuttavia, questa legge é stata in vigore solo per dieci anni, fino al 2010.

Quindi, l'essere nato in qualche territorio dell'Impero austriaco implicava, per i suoi abitanti ed emigranti, legalmente, una nazionalità, ma non un impegno da parte di quello Stato nei loro riguardi. Nel caso particolare dei trentini, la loro condizione di sudditi di lingua italiana, cioè appartenenti a una comunità linguistica minoritaria e il fatto di aver trovato nella terra dell'emigrazione una scarsa presenza dello Stato austriaco, furono forse alcuni dei fattori che li spinsero ad una rapida assimilazione con gli italiani e le loro istituzioni. Poi, la scomparsa dell'Impero austriaco alla fine della Grande Guerra, l'annessione del Trentino allo Stato italiano e l'avvento del fascismo furono circostanze che contribuirono a condannare al silenzio, anche qui in queste terre, la memoria del carattere specifico e singolare di questi immigrati e di quelle comunitá e istituzioni di procedenza che, in quegli anni, sia in Italia che Argentina furono ridefinite sulla base di concetti omonimi ma con profonde differenze di significato.

 

Conclusioni

La presenza di un consolato austro-ungarico nella cittá di Bahia Blanca, con il suo promettente porto, avrebbe fatto pensare alla presenza di un numero significativo di immigrati procedenti dall'impero. È vero che gli imprenditori marittimi e i marinai croati ebbero un'enorme gravitazione nell'origine e lo sviluppo del porto locale, ma gli immigrati trentini, in termini quantitativi, furono una quantità esigua rispetto alle cifre di altre regioni dell'America Latina o rispetto al numero di immigrati italiani stabilitisi in questa zona. In quei primi anni del Novecento, non ci furono neanche personalità di spicco tra loro né per la loro attività pubblica nemmeno per il loro livello socioeconomico. Si trattava, invece, come abbiamo visto, di alcune centinaia di agricoltori, commercianti, artigiani e operai.

Tuttavia, il concetto di "rete fitta", applicato alla lettura di queste fonti e su quel piuttosto piccolo numero di persone, ci ha permesso di osservare una serie di questioni riferite alla storia dei movimenti migratori del primo Novecento e alla storia del sud della provincia di Buenos Aires: che questi immigrati arrivarono non tutti in insieme, in modo massiccio, e quasi sempre, dopo essere stati in Brasile, Uruguay, Buenos Aires o in altre località più a nord della provincia di Buenos Aires; che il rapido e capillare inserimento si é dovuto non alla presenza di una struttura ricettiva ufficiale o di una preesistente comunità trentina, ma piuttosto alle diverse possibilitá di lavoro disponibili, alle diverse possibilità di accesso alla proprietà fondiaria e poi, infine, all'efficacia del sistema educativo locale. Questa analisi ha anche permesso di chiarire in che senso funzionassero i concetti di "nazione" e "comunità di appartenenza" e ci ha permesso di capire perché, poiché qui non si è formata né una colonia né una collettività, un certo senso di identificazione regionale ha perdurato soltanto tra alcuni dei loro discendenti.

Contemporaneamente in Trentino, invece, la dissoluzione dell'Impero austriaco e la condizione di sconfitti con cui tornarono le diverse migliaia di uomini che avevano combattuto sul fronte russo o italiano, l'annessione del Trentino al Regno d'Italia e la forzata "italianizzazione" di tanti aspetti della vita quotidiana (dalla traduzione di toponimi e cognomi, al silenzio imposto sui caduti trentini con la divisa dell’esercito imperiale), furono circostanze che favorirono il consolidarsi della coscienza di una propria identità ben definita. Invece, qui in provincia di Buenos Aires, questi "austriaci" di lingua italiana si assimilarono e si integrarono nella società locale, e divennero i punti di riferimento che, dopo la prima guerra mondiale, articolarono, dal 1924 l'arrivo della seconda ondata di immigrati trentini – già con passaporto italiano – nella nostra zona.

 

 

 

Bibliografia

 

Fonti

Interviste

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[1] Universidad Nacional del Sur - Ferrowhite Museo-Taller. anaceciliamiravalles@gmail.com.

[2] Ringrazio la Dott.ssa Patricia Orbe e il Dott. José Marcilese, del Dipartimento de Humanidades dell'Universidad Nacional del Sur, per i loro suggerimenti, commenti e lo stimolante spazio di riflessione offerto nel loro seminario; il Dott. Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo Storico del Trentino, per la possibilità di consultare i documenti riferiti a Bahía Blanca conservati nell'Archivio di Stato di Vienna; la Dott.ssa Milagros Martínez-Flener, dell'Università di Monaco, per il suo incoraggiamento e consiglio; la Proff.sa Nélida Iglesias de Fabrizzi, dell'Università del Sud, per il suo aiuto con i documenti in tedesco scritti a mano con calligrafia Kurrent; e infine tutti gli amici del Circolo Trentino di Bahía Blanca.

[3] Il nome Trentino divenne popolare negli ultimi anni dell'Ottocento. Tradizionalmente, nell'area di lingua tedesca dell'impero veniva usati i termini Welschtirol, Tirolo italiano o Sudtirol. Cf Tonezzer (2009).

[4] L'esigenza di un'autodefinizione in termini di nazionalità si pone solo all'inizio del '900 con la diffusione dell'irredentismo e soprattutto, al momento della leva militare all'inizio della Grande Guerra. Cf. Mazzini (2010).

[5] Sulla composizione regionale dell'immigrazione italiana in Argentina in questo periodo, cfr. Devoto (2008).

[6] Ad esempio, Devoto scrive: “Sampacho, colonia popolata prevalentemente da friulani e trentini, questi ultimi di cittadinanza austriaca: molto probabilmente con tale identità, crearono la Società austro-argentina” (2008: 124).

[7] Stefanetti-Kojrowicz e Prutsch (2005) studiano le colonie di immigrati polacchi dalla Galizia che si sono stabillite nella provincia di Misiones. Si possono consultare anche i saggi di Martinez-Flener (2017), Martinez Flener e Prutsch (2018) e Radovich (2020).

[8] Per quanto riguarda le colonie dell'Argentina nord-orientale, sono interessanti le note di Peyret (1889), e gli studi di Cracogna (1988) e Stefanetti-Kojrowicz e Prutsch (2005).

[9]  Si possono consultare nel sito https://www.familysearch.org/es/.

[10] Consularwessen Bahía Blanca, Fondo Ministerium des Aussern, Administrative Registratur, nº 8-72-1, Archivio de Stato di Vienna (citato como Fach 8-72-1, HHStA).

[11] “Austria-Hungrìa. La colonia austrohúngara en la Argentina” (9 de julio de 1916), La Naciòn, suplemento especial, pp. 611-620. Sui fratelli Mihanovich e lo sviluppo della navigazione di cabotaggio in Argentina allá finel dell’Ottocento, cfr. Caillet-Bois (1929); e sui suoi legami con il potere a Vienna, Blaschiz (1992); sul ruolo di Nicola come imprenditore, cfr. Caruso (2014); e sulle sue vicende come viceconsole a Buenos Aires, cfr. Deusch (2017).

[12] Il 5 settembre 1887 fu nominato "socio protettore" della Società Italiana XX Settembre; il 15 aprile 1893, padrino del battesimo di un bambino, e almeno fino al 1897, possedeva un appezzamento di terreno nel porto di Ingeniero White. Nel 1889 si stabilì ancora a Buenos Aires dove fondò la Compañía Sudatlántica e, con le navi Austria e Vaca, organizzó un servizio di cabotaggio con viaggi settimanali per il trasporto di merci e passeggeri tra Buenos Aires, Bahía Blanca e Patagones. Cfr. Caillet-Bois (1929).

[13] Per capire queste differenze risultano indispensabili gli studi di Matsch (1986), Blaschitz (1992) e Agstner (2012b), e, in particolare, riguardo all’America Latina e Bahía Blanca, Agstner (2012a).

[14] Ufficio per la mediazione del lavoro della Camera di Commercio e Industria in Rovereto (1908), Gli emigranti del Trentino, Rovereto, Tipografia Grigoletti.

[15] Per evitare un così lungo viaggio per mare, molti emigranti si recavano per via terrestre in qualche altro porto europeo, (francese, tedesco o spagnolo) come si può verificare nella banca dati CEMLA (Centro de Estudios Migratorios Latinoamericanos), alla voce "porto", e come spiega Raffaeli (1990-1991 ) e analizza ancora meglio Kalc (2014).

[16] Cf. Prutsch (1998) e Olivetti (2009).

[17] Joseph Oliver Croft, figlio di inglesi, nacque il 23 dicembre 1868 a Trieste, dove trascorse la sua giovinezza e ricevette la sua educazione. Stabilitosi a Bahía Blanca al meno dal 1887, nel 1893 sposò Adolfina Vlieghe, e dal 1894 fu socio-proprietario, insieme a Diego Meyer e Juan Denker, di una delle più importanti case commerciali della cittá, Barraca Unión, poi D. Meyer y Cía., dedicata all'importazione di ferramenta, macchine agricole e materiali da costruzione, e all'esportazione di cereali, lana, e cuoio. Fece parte anche del consiglio di amministrazione della Società Rurale tra il 1906 e il 1908, del Comitato Pro-Bahía Blanca. Sua moglie, Adolfina Vlieghe, era una figura notevole nella società locale, e la loro figlia, Adolfina Croft, sposò l'ingegnere Francisco Salamone, famoso per i suoi lavori di architettura nella provincia di Buenos Aires durante gli anni '30.

[18] Leopold Koziebrodsky, Buenos Aires, 24 luglio 1902 [Lettera del rappresentante dell’Impero a Buenos Aires al Ministero di Affari Esteri], Fach 8-72-1, HHStA.

[19] Leopold Koziebrodsky, Buenos Aires 24 luglio 1902 [Lettera del rappresentante dell’Impero a Buenos Aires al Ministero di Affari Esteri]; Pohl, G, 29 settembre 1902 [Lettera del console a Buenos Aires spedita al ministro-ambasciatore Leopold Koziebrodsky raccomandando Joseph Oliver Croft come vice console onorario a Bahía Blanca], Fach 8-72-1, HHStA.

[20] Freiherr von Rehmen, Buenos Aires, 9 febbraio 1906, [Relazione sulla convenienza di aprire un viceconsolato a Bahia Blanca]  Fach 8-72-1, HHStA.

[21] Freiherr von Rehmen, Buenos Aires, 13 settembre 1906, [Lettera al Ministero di Affari Esteri Koziebrodsky raccomandando Joseph Oliver Croft come vice console onorario a Bahía Blanca], Fach 8-72-1, HHStA.

[22] Su uno dei quotidiani local si informa sui danni provocati dalla tepesta (), La Nueva Provincia, 19 marzo 1902; e sulle procedure per la riparazione della nave, il cui contratto, si informa, sará firmato dal viceconsole tedesco La Nueva Provincia, 23 marzo 1902.

[23] Ministero di Commercio, Vienna, 7 lulgio 1906 [Lettera al Ministero di Affari Esteri per manifestare l’accordo sulla nomina di Croft come viceconsole a Bahía Blanca], Fach 8-72-1, HHStA.

[24] Ministero di Affari Esteri, Vienna, 30 novembre 1906 [Schizzo della nomina di Croft come viceconsole a Bahía Blanca], Fach 8-72-1, HHStA.

[25] Dopo alcuni anni in cittá, nel 1901 Croft fece costruire una casa in via Rondeau 51, che allo stesso tempo fungeva da sede del viceconsolato. Nel 1921 commissionò all'architetto catalano Pedro Cabré Salvat la costruzione di un secondo piano, il cui risultato fu considerato da molti la bella “casa catalana”, la sua residenza permanente. Croft possedeva anche una fattoria dedicata alla coltivazione di fiori. Nel 1917 si ritirò dalla ditta Meyer e cessò formalmente le sue funzioni come console il 12 novembre 1918. Dopo essere stato assente per diversi anni, Croft morì a Bahía Blanca il 21 agosto 1935.

[26] Joseph Oliver Croft, Bahía Blanca, 27 de septiembre de 1902 [Dichiarazione di accettazione degli incarichi e degli obblighi come Vice Console Onorario], Fach 8-72-1, HHStA.

[27] Isidoro Ghezzi nacque a Daone il 13 gennaio 1853, come si legge nel foglio 16 del Libro di matrícola della Società Italiana di Mutuo Soccorso di Bahia Blanca, vol.1, foglio 16, 1887. Giunse in citta invitato dal párroco, don Oreiro per suonare nel tempio il tedeum in occasione della festa patria del 25 maggio. Ben presto però fu chiamato ad animare con musica leggera alla moda le riunioni e i balli che si svolgevano nelle sale del municipio, nel Bar de los Ocho Billares, di Francisco Iguacel, e nell'aristocratico Club El Progreso, e partecipò addirittura all'inaugurazione del tempio massonico della Loggia della Stella Polare nel marzo 1890. Insegnava pianoforte e violino, e organizzava periodicamente serate letterarie e musicali, nelle quali presentava anche composizioni proprie. In un'occasione, nel 1889, eseguì per la prima volta due mazurke, "Villa Olga" e "Bahía Blanca"; una, dedicata a Pablo Neumayer, l'ingegnere argentino che lavorò in quegli anni al servizio di Ernesto Tornquist, misurando i terreni della colonia e disegnando i piani per la localitá di Tornquist; l'altra fu dedicata alle sue “care allieve”, figlie di ricchi commercianti locali: Ana Vanoli, Elvira Tellarini e Adolfina Vlieghe, la futura moglie del vice console Joseph Oliver Croft.

[28]  Croft, Joseph Oliver, Bahía Blanca, 30 maggio 1902 [Curriculum Vitae], Fach 8-72-1  HHStA.

[29] Ferrocarril Buenos Aires al Pacìfico, Vía y Obras - Registro de personal (1900-1924), e Ferrocarril Sud, Vía y Obras, cuadrillas especial de alambradores (1894-1920), Fondo Ferrocarriles Bahía Blanca, Archivio Ferrowhite-Museo Taller

 

[30] In 1908, l’ Ufficio per la mediazione del lavoro informava che gli emigrati trentini non si recavano presso i consolati austroungarici perché pensavano che avrebbero ricevuto scarsa assistenza e riferivano addiritura dei casi in cui i richiedenti non ne avevano ricevuta nessuna. Per ció, di solito erano ammessi nelle Societá Italiane, come nel caso di Bahia Blanca. Cfr. Grandi (1990).

[31] Libro de actas 1886-1896 de la Società Italiana Mutuo Soccorso di Bahia Blanca XX Settembre, 12  giugno 1887, 13 giugno e 26 lueglio 1891.

[32] Registro ammalati. Periodo assitenza 26-12-1886 al 7-11-1900 de la Società Italiana Mutuo Soccorso di Bahia Blanca XX Settembre, marzo 1893; e  Libro di cassa, n° 1, dal 10 ottobre 1886 al 31 gennaio 1899.

[33] “Italia declara la Guerra a Alemania. El pueblo italiano pide la reconquista de Trento y Trieste” [Italia dichiara la guerra allá Germania. Il popolo italiano chiede la riconquista di Trento e Trieste], La Nueva Provincia, 7 agosto 1914, p.1.

[34] “Las nobles aspiraciones italianas” [Le nobili pretese italiane], Arte y Trabajo, septiembre de 1918, p. 6.