IMMIGRATI TRENTINI A BAHIA BLANCA E NEL SUD DELLA
PROVINCIA DI BUENOS AIRES (1880 - 1918)
Ana Cecilia Miravalles[1]
Abstract
Immigrants from Trentino, -namely,
the South Tyrol-, a marginal territory of the Austrian Empire, but Italian-speaking,
arrived in the Bahía Blanca area between 1880 and 1914. However, they usually
go unnoticed in the mass of data and studies concerning the first wave of
immigration in Argentina, confused between Italians, Germans and Croats.
Reviewing the specific meaning of some key concepts such as “nation”,
“homeland” and “linguistic community” at that time, allows us to question the
mechanisms of production of identities and bonds of solidarity that we often
take for granted. In this paper we intend to trace the presence of Trentini
immigrants in the region and to analyze the scope and limits of the networks of
links between them (labour, marriage, affective), and their various strategies
of assimilation (or resistance) in local institutions, the role of the Austrian
state with respect to its emigrants and that of the Italian state after the
incorporation of Trentino into its territory.
Introduzione[2]
Tra il 1898 e il 1908 c’era a Bahía
Blanca un vivaio chiamato Il Piccolo Tirolo, una locanda chiamata Fonda
Tirolesa e un’ altra dal nome Fonda Trentina, tra le tante che
proliferavano in questa ancora piccola città, con nomi come ad esempio Milano,
Torinesa, Marchigiana o Romana, in allusione, forse, alle
regioni d'Italia da cui provenivano i loro proprietari o i loro potenziali
clienti. Ma sebbene le parole Piccolo, Tirolo e Trentina
fossero in italiano, gli immigrati tirolesi (oppure trentini) in quegli anni
provenivano dal Regno d’Italia ma dell’Impero Austriaco. E infatti, di solito
passavano inosservati.[3] Nelle liste dei passeggeri che le compagnie
di navigazione consegnavano nel porto di Buenos Aires al momento dell’arrivo
delle navi, questi passeggeri, normalmente si identificavano come
"tirolese", “trentino” o, il più delle volte, "austriaco".
Anche nei censimenti argentini di 1869, 1895 e 1914 furono conteggiati tra gli
“austriaci”, insieme a ungheresi, croati, polacchi e sloveni – tutti sudditi
dell'Impero Austro-ungarico. È vero che, in un primo momento, non risulta
facile stabilire quanti di questi "austriaci" fossero trentini, e
neanche riconoscerli tra migliaia di nomi e cognomi italiani presenti in questa
regione. Comunque, possiamo affermare (i nomi delle locande e del vivaio cosí
lo suggeriscono, e con questo lavoro speriamo di dimostrarlo) che, tra il 1885
e il 1918, una discreta quantitá di uomini e donne trentini si stabilirono al
meno temporaneamente in questa zona e, in particolare, nella città di Bahía
Blanca.
Gli immigrati trentini non sono facilmente rintracciabili per diversi
motivi,. Innanzitutto, i termini "impero", "nazionalità" e
"comunità linguistica" possono avere diversi significati a seconda
del contesto d’uso. Infatti, l'Impero austro-ungarico, di cui il Trentino fede
parte fino alla sua dissoluzione nel 1918, non era uno Stato moderno, basato su
una “comunità immaginata” (Anderson, 1993), né una potenza in espansione in
delle colonie d'oltremare. La “nazionalità” indicata nei documenti e nei
censimenti argentini faceva riferimento ad un'entità politica sovranazionale,
l'Impero, appunto, che comprendeva 15 stati autonomi, con lingue e religioni diverse, e tratti etnici e
culturali singolari: austriaci di lingua tedesca, cechi, sloveni, ungheresi,
croati, polacchi, friulani e infine, sud tirolesi, denominati anche trentini.
Questa regione di lingua italiana dal
1819, godette di una completa autonomia economica e sociale riguardo al potere
centrale. Per la popolazione, maggiormente contadina, insediata in piccole
comunità nelle vallate alpine, l'imperatore asburgico appariva come una autorità
indiscussa e come garante dell'ordine, ma allo stesso tempo lo si sentiva
remoto e invisibile, poiché non esistevano istituzioni o funzionari che lo
rappresentassero direttamente nel territorio. Perció, ai trentini di fine '800
viene attribuita un'identità "anfibia", caratterizzata dalla fedeltà
alla figura dell'imperatore Francesco Giuseppe ma, al tempo stesso, da un forte
orgoglio nella difesa della propria cultura e della propria lingua. Quindi, nel
singolare contesto di questi paesi di montagna – dai quali proveniva la
stragrande maggioranza degli immigrati – il sentimento di appartenenza della
popolazione non era verso un'astratta entità Statale -l'impero o uno stato
nazionale -, ma verso la propria comunità territoriale dei compaesani,
cioè, verso la patria del paese. [4]
In secondo luogo, diversamente da altri popoli sudditi dell'impero (croati,
slavi, ungheresi e cechi) che, lungo tutto il Novecento hanno consolidato una
propria tradizione storiografica avviata alla affermazione della propria
identità nazionale, la storia del Sud Tirolo di lingua italiana è stata
assorbita da, e integrata nella storiografia italiana, secondo la quale questa
regione “irredenta”, sottomessa a un potere “straniero”, sarebbe stata
“salvata” e “(re)integrata” nello Stato italiano solo dopo la Grande Guerra
(Ascolani e Birindelli, 1990: 99 e seguenti). L’assoluta prevlaenza di questo
punto di vista nel mondo accademico argentino spiega perché, negli studi
migratori riferiti al periodo 1880-1914, i sudtirolesi (o trentini) non vengono
mai menzionati,[5] tranne
in qualche opera riferita all'insediamento di colonie nel nord-est del nostro
paese, e come un fenomeno marginale e quasi anomalo dell'immigrazione italiana. [6]
Inoltre,
gli studi sull'immigrazione “austriaca” in America Latina e in Argentina, si
occupano soltanto della comunità di lingua tedesca (Saenz Araya de Schwald e
Fornieles, 2009). Altri, invece,equiparando etnie, lingue e Stati, si
concentrano piuttosto sulle origini delle diverse identità nazionali che si
sono istituzionalizzate in Europa nel corso del Novecento (polacchi, croati,
ungheresi, cechi).[7]
È vero che la corrente migratoria procedente
dal Sud Tirolo (Trentino) che, tra il 1870 e il 1890, ebbe come meta il sud del
Brasile (una migrazione organizzata, costituita da famiglie di coloni che
diedero origine a città come Nova Trento o Santa Caterina), è stata studiata,
sia in Italia che in Brasile (Grosselli, 1986; 1987; 1989 e 1991). Una certa
attenzione ha ricevuto in alcuni saggi monografici anche la storia dei coloni identificati
sí, con l’aggettivo “trentini” che si stabilirono, grazie alle agevolazioni
garantite dalla legge Avellaneda del 1876, nel nord-est dell'Argentina,
precisamente a Misiones, nei comuni di Corzuela, Pampa del Infierno e
Quitilipi; nel Chaco, a Puerto Tirol; nella provincia di Santa Fe, nei comuni
di Reconquista e Presidente Avellaneda; e nella provincia di Córdoba, a
Sampacho (50 famiglie di coloni trentini nel 1879) e a Colonia Tirolesa (17
famiglie brasiliane, nel 1889).
[8]
D’altra parte gli studi dedicati
all'immigrazione nel sud della provincia di Buenos Aires durante questo
periodo, si basano piú che altro sulle informazioni statistiche riferite alle
nazionalità di origine e alle diverse categorie occupazionali svolte dagli
immigrati. Il problema è che, in questi studi, i trentini vengono conteggiati
come austriaci quando si analizzano censimenti o statistiche, ma considerati
immigrati italiani quando si tiene conto delle attività lavorative (Iglesias,
1968; López de Pagani et al., 1971; Caviglia , 1984; Weinberg e Buffa, 1991;
Cernadas, 1994; Tolcachier, 1998). Infine, alcune monografie basate su
interviste a persone arrivate dopo la prima guerra mondiale fanno riferimento
all'immigrazione croata nell'area portuale di Ingeniero White (Chalier, 1996;
Suarez, 2007), ma non sembra esserci nessun studio d’insieme sugli immigrati
procedenti dell’ Impero austro-ungarico.
Infine, un terzo ostacolo
all'identificazione degli immigrati trentini è la quantitá e l’indole delle
fonti disponibili. A differenza di quanto accade con le colonie in Brasile e
nel nord-est dell'Argentina, nel sud della provincia di Buenos Aires le fonti specifiche
per quest’analisi sono poche e gli scarsi riferimenti sono sparsi in documenti
che sembra che tutto il tempo stiano a parlare d'altro. Nelle fonti nominative,
i dati risultano dall'autodefinizione dell'interessato, per cui sono spesso
imprecisi o incoerenti. Nelle fonti dove la nazionalità non è specificata (guide
commerciali o articoli di giornale, per esempio) i trentini possono passare per
"italiani", mentre quelli che, pur essendo italofoni, hanno cognomi quali
Mochen, Pompermayer, o Hueller potrebbero venire conteggiati tra i tedeschi.
Infine, le interviste realizzate dall'autrice tra il 1998 e il 2020 ai
discendenti di immigrati giunti nel periodo studiato contengono informazioni
generiche sui paesi trentini di provenienza e su alcune specifiche
vicissitudini personali o familiari puntuale e naturalmente spesso rielaborate
e rimaneggiate alla luce degli eventi posteriori e “modellate” sulle tracce di
matrici narrative standardizzate. Abbiamo potuto osservare inoltre, che nelle
testimonianze orali i ricordi familiari raramente risalgono al di lá di due
generazioni.
Comunque, l'interesse per rintracciare
questi immigrati e per recuperare almeno parte della loro storia ci ha portato
ad approfondire la ricerca e a fare una lettura attenta e meticolosa delle
fonti disponibili. Il concetto di "rete fitta" proposto da Serna e
Pons (2002) ci ha permesso di riflettere su quelle categorie di analisi
—impero, nazionalità, patria e comunità linguistica— per osservare le
peculiarità dell'immigrazione trentina in quest'area geografica, cioé, la città
di Bahía Blanca e il suo porto, Ingeniero White, e piú genericamente il Sud-ovest
della provincia di Buenos Aires.
Per ció, in questo studio ci
proponiamo, in primo luogo, calcolare approssimativamente la quantitá di
immigrati trentini presenti nel sud della provincia di Buenos Aires tra il 1880
e il 1914. Con questo scopo, abbiamo preso in considerazione non solo i dati
dei censimenti argentini, ma abbiamo rintracciato anche nomi e cognomi di
uomini, donne e bambini trentini nelle fonti nominative disponibili — i
libretti del Censimento Nazionale del 1895 e i libri parrocchiali della
Cattedrale di Bahía Blanca (1884-1920), nonché i libri di matricola dei soci
della Società Italiana di Mutuo Soccorso XX Settembre de Bahía Blanca (1882
-1920),
[9] i registri
di personale delle imprese ferroviarie Ferrocarril Sud e Ferrocarril
Bahia Blanca Noroeste-Buenos Aires al Pacífico (1890-1920), e documenti
anagrafici e familiari forniti dalle persone intervistate che hanno permesso,
al meno di intravedere com’é stata la distribuzione degli immigrati trentini in
quest'area.
In secondo luogo, analizzeremo quale
atteggiamento assunse l'impero austro-ungarico nei confronti dei suoi emigrati
nel sud della provincia di Buenos Aires, e quale ruolo ebbe il suo rappresentante,
il viceconsole onorario a Bahía Blanca. Abbiamo consultato, da un lato, i
documenti corrispondenti al Viceconsolato austro-ungarico di Bahía Blanca,
conservati presso l'Archivio di Stato di Vienna,[10] e,
dall'altro, delle fonti indirette quali giornali locali e guide sociali della
città e della regione.
Infine, presenteremo alcuni tratti
specifici dell'immigrazione trentina nel nostro territorio. Per rintracciare
questa singolarità, abbiamo consultato gli atti nominativi e abbiamo interivstato
parecchi discendenti di emigrati giunti prima del 1914. Questo insieme di
informazioni ci ha permesso di individuare alcuni itinerari geografici, e
osservare certe caratteristiche demografiche (composizione dei matrimoni,
numero di figli, relazioni intrafamiliari), lavorative e culturali verificatesi
in questa regione in particolare (Moya, 1996), una regione definita sulla base
di un criterio economico il cui asse va dall'area di produzione agricola nelle Sierras
de la Ventana all'area portuale di Ingeniero White, e che spiega perché
questi immigrati trentini si sono stabiliti a Tornquist e in alcune localitá
vicine, e soprattutto nella città di Bahía Blanca e il suo porto.
Così, quindi, la quantità e la
distribuzione degli immigrati, la politica specifica dell'Impero austriaco, e i
tratti distintivi di questo gruppo di immigrati, ci permettono di tracciare un
aspetto finora non studiato nella nostra storia regionale e, in particolare,
nella storia dell'immigrazione in quest'area (Weinberg e Buffa, 1991; Cernadas
de Bulnes e Bustos Cara, 1998).
Rendere visibile questo gruppo
migratorio, ben definito —per il suo territorio di origine e per i suoi tratti
culturali—, ma che, tuttavia, forse come conseguenza della tradizionale
preponderanza di approcci basati sul concetto di Stato-nazione, é stato
ignorato tanto dalla storia dell'immigrazione italiana quanto da quella
austriaca, é l’obbiettivo principale di questo studio.
E inoltre, dato che in questi ultimi
trent’anni molti discendenti di immigrati tra 1880 e 1914 hanno richiesto la
cittadinanza italiana senza successo, può essere rilevante conoscere le
circostanze specifiche di quella immigrazione e le origini della norma giuridica
che ha regolato questa situazione particolare, osservando il modo in cui i
concetti di “nazionalità”, “cittadinanza” e “cultura” vengono sovrapposti e
reinterpretati alla luce di questa esperienza storica.
Trentini
a Bahia Blanza e la zona
I
dati ufficiali corrispondenti al numero di austro-ungarici nella capitale
dell'Argentina e nella provincia di Buenos Aires si possono reperire nei
censimenti nazionali e provinciali realizzati tra il 1869 e il 1914.
Figura
1. Numero di immigrati austro-ungarici registrati nella cittá di Buenos Aires,
e nel territorio della provincia di Buenos Aires
|
Capital Federal (Bs.As.) |
Provincia di Buenos Aires |
Censimento 1869 |
542 |
115 |
Censimento 1881 |
|
284 |
Censimento 1895 |
3107 |
2446 |
Censimento 1914 |
7572 |
9154 |
Fuente: elaborato sulla base dei dati del
Censimento Nazionale di 1869, Censimento Provinciale di 1881 e i Censimenti
Nazionali di 1895 e 1914.
Si puó anche specificare la quantitá
di austriaci in ciascuno dei comuni del sud della provincia di Buenos Aires
Figura 2. Numero di immigrati
austro-ungarici registrati nei comuni del sud della provincia di Buenos Aires
|
Cens. 1881 |
Cens. 1895 |
Cens.1906 |
Cens. 1914 |
Bahía Blanca |
11 |
116 (con Tornquist) |
470 |
589 |
Adolfo Alsina |
|
9 |
|
82 |
Dorrego |
|
11 |
|
14 |
Guaminí |
|
4 |
|
143 |
Lamadrid |
|
13 |
|
65 |
Olavarría |
11 |
45 |
|
119 |
Patagones |
|
|
|
25 |
Pringles |
|
3 |
|
29 |
Puan |
|
1 |
|
70 |
Saavedra |
|
13 |
|
53 |
Suarez |
|
11 |
|
280 |
Tandil |
9 |
227 |
|
531 |
Tornquist |
----------------- |
-------------- |
|
47 |
Tres Arroyos |
4 |
20 |
|
49 |
Fonte: elaborato sulla base dei dati del
Censimento Provinciale di 1881 e i Censimenti Nazionali di 1895 e 1914; e
censimento del 3 giugno 1906, in Guía
comercial de Bahía Blana y zona tributaria Colosimo (1908).
Comunque, per distinguere quanti di
questi austriaci fossero trentini e per raggiugnere almeno una certa
approssimazione, é stato necessario rintracciarli come se fossimo usciti alla
caccia dei trentini dispersi nell’immensitá del passato di questa regione della
pampa argentina. È stato necessario rivedere le fonti nominative disponibili e
creare una banca dati con i nomi e cognomi, e con le informazioni ricavate
dalle fonti, accertando il luogo di nascita di ogni singolo individuo nella
banca dati Nati in Trentino e nei “Ruoli matricolari” dell'Archivio di Stato di
Trento (nei casi in cui é stato possibile). Così abbiamo calcolato, in modo
approssimativo, la quantitá di trentini nella circoscrizione di Bahía Blanca. Il
censimento del 1895 fornisce i seguenti dati:
Figura
3.
Quantitá di immigrati trentini individuati nel Censimento di 1895
|
Austriaci |
Trentini |
Bahía Blanca (incl. Tornquist) |
116 |
49 |
Adolfo Alsina |
9 |
- |
Dorrego |
11 |
5 |
Lamadrid |
13 |
4 |
Pringles |
3 |
1 |
Puan |
1 |
1 |
Saavedra |
13 |
1 |
Suarez |
11 |
- |
Tandil |
227 |
100 |
Tres Arroyos |
20 |
10 |
Fonte: dati presi dai libretti del Censimento
Nazionale di 1895.
Poi,
nei libri di registro di battesimi, matrimoni e decessi della chiesa di Nuestra
Señora de la Merced, unica parrocchia a Bahía Blanca in quel periodo, ci sono i
nomi di 30 uomini e donne nati in Trentino. Nei libri matricolari della Società
Italiana (1882-1920) compaiono iscritti altri 31 maschi adulti nati a Trento e
in altri comuni del Trentino: il primo nel 1887, residente nel centro della
cittá Bahía Blanca; 12 coloni domiciliati a Tornquist, iscritti tra 1888 e
1892; e tra 1890 e 1906 gli altri 19, a Bahía Blanca. Poi, nei registri di
operai delle imprese ferroviarie risultano invece 32 uomini nati in Trentino.
Infine, nel corso di diversi anni abbiamo contattato i discendenti di una
cinquantina di immigrati del periodo studiato.
Si puó osservare, dunque, che
rispetto al numero di italiani arrivati nel Sud della provincia di Buenos
Aires quegli stessi anni, quello degli immigrati trentini è piuttosto esiguo, e
la loro presenza sembra essere passata inosservata per causa anche della
rilevanza, non tanto numerica ma soprattutto economica e politica, di immigrati
provenienti da altre zone dell'Impero austriaco, in particolare da Trieste e
dalla costa dalmata.
Austria
in Bahia Blanca
L'Impero
austro-ungarico aveva intrapreso relazioni diplomatiche con l'Argentina nel
1864, e dal 1872 funzionava un consolato generale a Buenos Aires, ma a Bahía
Blanca non c’é stata una rappresentanza consolare fino al 1906. Tuttavia,
abbiamo trovato che già nel 1881 c’erano alcuni "austriaci" in questa
zona, quando questo non era altro che un villaggio sperduto nei confini della
pampa. Il primo di cui si hanno notizie fu il dottor Giorgio Mandinich, uno dei
primi medici della città, noto non solo per la relazione che scrisse sulla
situazione sanitaria di Bahía Blanca, pubblicata nell'Annuario Statistico della
provincia di Buenos Aires nel 1884, ma anche e soprattutto per la sua azione
durante l'epidemia di colera del 1886. I piú influenti, peró, furono i fratelli
Nicolás e Miguel Mihanovich (nati a Dolj, sulla costa dalmata) che, subito dopo
la campagna di occupazione del territorio a carico del generale Roca nel 1879,
con le loro navi Toro e Watergeus, quando il porto non era altro
che un rustico molo di legno, si occuparono del traffico di passeggeri tra
Buenos Aires e Bahía Blanca, e anche, dal 1881, del trasporto di materiali per
la costruzione delle ferrvie e del molo provvvisorio della compagnia britannica
Ferrocarril Sud nel porto di Ingeniero White. [11] In
particolare, il fratello minore, Miguel, residente a Bahía Blanca tra 1881 e
1890, gestí la propria compagnia marittima in società con Felipe Caronti
Casati, presente perfino come capitano sulle proprie navi, e con una attiva
partecipazione alla vita sociale ed economica della localitá.[12]
Quindi, forse, al ruolo decisivo dei fratelli Mihanovich e a quello dei
loro ex soci e connazionali, i fratelli Cosulich (proprietari della potente Compagnia
austro-americana di navigazione, con base al porto di Trieste, e con un ufficio
a Bahía Blanca dal 1906 si deve la presenza di un gran numero di immigrati
dalmati e istriani nella localitá portuale di Ingeniero White. Tra gli operai
del Ferrocarril Sud, e in particolare tra i marinai che operavano le draghe al
porto, e tra i braccianti delle saline ci sono cognomi come ad esempio Marsanich,
Salnich, Ragusín, Busanich, Suttora, Vidulich, Stuparich, Martinolich,
Nicolinich, Radetich, Sablich, Filinich, Sisul, Oggersnigg, ecc., molti dei
quali nati a Lussin Minor (Mali Losinj), da dove provenivano i fratelli
Cosulich.
La monarchia austro-ungarica aveva una
politica diversa dalle altre nazioni europee nei confronti dei suoi emigrati.[13] In
realtá, non esisteva né la cittadinanza austro-ungarica né il passaporto austro-ungarico,
e spettava alle autoritá locali nei diversi punti dell’Impero l'autorizzazione per
partire. In Trentino alcuni passaporti venivano rilasciati dalle Capitanerie
Distrettuali, ma la maggior parte degli emigranti partiva senza questo documento,[14] e
solo nei porti europei i rappresentanti consolari raccoglievano i dati di quelli
che si imbarcavano poiché il suo utilizzo non era obbligatorio (Prutsch et al.,
2017).[15]
Secondo un "brevetto imperiale" del 24 marzo 1832, gli emigranti
dell'impero, per non essere considerati disertori, perdevano la cittadinanza al
momento della partenza (apolidi). Come conseguenza, all'estero, non potevano
trasmetterla direttamente ai loro figli in nessun modo.[16] Dopo
questo brevetto, tranne una norma del 1867, non fu emanata alcuna legge che
prevedesse la protezione e la tutela dei diritti dei propri cittadini
all'estero fino al 1913, quando fu emanato un regolamento il cui obiettivo
principale era quello di impedire la partenza dei giovani atti per il servizio di
leva militare. L'impero si presentava come uno stato unitario solo nell’ambito
della politica estera, e incarnato nella figura dei suoi rappresentanti
all'estero: i suoi ministri (o ambasciatori) e i suoi consoli.
Comunque, il governo austriaco non
inviava consoli, bensì nominava quel connazionale emigrato che si fosse
candidato per svolgere il ruolo, interessato ad accrescere il proprio prestigio
sociale e le proprie opportunità di affari. Ma la maggior parte degli emigranti
mancava del livello educativo ed economico necessario per questa funzione.
Quindi, se nessun austriaco riuniva le condizioni necessarie per adempire la
carica, un cittadino straniero poteva candidarsi ed essere nominato console.
Così, negli Stati Uniti, l'impero austro-ungarico ebbe diversi consoli tedeschi
(Agstner, 2012b; Deusch, 2017). E per questo motivo, a Bahía Blanca fu un
inglese nato a Trieste, Joseph Oliver Croft, l’uomo che rivestí la carica di Viceconsole
onorario, dal 30 novembre 1906.[17]
Il
console era tenuto a realizzare le pratiche a favore delgi emigrati,
specialmente per l'invio di denaro sotto forma di rimesse nella terra
d'origine, raccogliere e fornire informazioni su opportunità di lavoro, e soprattutto,
nel caso particolare di Bahia Blanca assitere le navi di bandiera austriaca che sarebbero arrivate
sempre con più frequenza al porto.[18] Croft si era già presentato come
candidato nel 1896 e nel 1902, ma la sua nomina era stata rinviata a causa
della mancanza di informazioni precise e aggiornate sul numero di sudditi austriaci
nella zona, e perché l'obiettivo delle autoritá del ministero di affari esteri era
trovare qualche candidato austriaco.[19]
Tuttavia, il prevedibile aumento del numero di navi austriache nel porto di
Ingeniero White, la presenza di famiglie di coloni austriaci (trentini, slavi e
anche alcuni ungherei) a Tornquist, e l'afflusso di lavoratori procedenti dal
nord della provincia di Buenos Aires, attratti dalle possibilità di lavoro nei
porti e nelle ferrovie, resero urgente
la presenza di un console. La distanza di quasi 700 chilometri tra Bahía Blanca
e Buenos Aires era una grande difficoltá per portare a termine molte procedure,[20] e
perció spesso gli immigrati dell'impero avevano dovuto richiedere assitenza ai
consoli di altri paesi residenti a Bahía Blanca. Addirittura, e in modo
informale, era proprio Croft che agiva come collegamento tra il Consolato d’Austria
a Buenos Aires e le navi austriache al porto,[21]
come ad esempio, quando in 1902 il piroscafo Principessa Cristina, procedente
da Lussinpiccolo, la città dei fratelli Cosulich, subì grossi danni per causa
di un forte temporale nel porto di Ingeniero White.[22]
Per questo motivo, dopo una visita a
Bahía Blanca del Barone Von Rhemen, Ministro-Ambasciatore d'Austria-Ungheria, e
considerando che nessun austriaco residente in questa zona aveva la
qualificazione minima richiesta, nel 1906 fu ammessa la candidatura di Joseph Croft.
Era nato ed era stato educato a Trieste, quindi conosceva per esperienza
personale la situazione dell'impero, abitava a Bahía Blanca dal 1887, ed era
socio di una delle più importanti case commerciali di importazione ed
esportazione della città e la regione, Diego Meyer y Cía., i cui
proprietari — lo stesso Meyer e John Denker— svolgevano, allo stesso tempo le
funzioni di consoli di Germania e Olanda. Inoltre, Croft parlava correntemente il
tedesco, l’italiano, il croata e l’inglese, come richiesto dal Ministero del
Commercio dell'Impero.
[23] Dopo
che fu definita l’area amministrativa corrispondente a sud del parallelo 37°,
informate le autorità marittime di Fiume e Trieste furono informate,[24] il
Viceconsolato di Bahia Blanca inizió a funzionare formalmente il 17 agosto
1907, con sede nella residenza di Croft, nella cosiddetta “casa catalana”. [25] Croft
non riceveva alcun compenso per le sue funzioni, e anzi aveva a suo carico
tutte le spese (tranne quelle delle pratiche ufficiali), con l’impegno di inviare
rapporti periodici sulla situazione in ambito locale. [26]
Dunque, pure qui a Bahia Blanca il viceconsolato dell’impero austriaco fu
creato con lo scopo di promuovere il commercio austriaco e assicurare l’assistenza
alle navi, e ai commerciante e marinai nel porto. La documentazione del
consolato di Bahia Blanca finora consultata non contiene altri riferimento alle
attivitá di Croft come viceconsole, né alla situazione degli immigrati.
Conosciamo solo i nomi dei suoi garanti “austriaci” residenti nella cittá (Johan
Cosulich, Peter Bertelich, Karln Schnitzer, Ferdinand Schattner, J. Czaplinsky,
Arturo Rossi e Joseph Oser). Invece, del suo rapporto con gli immigrati
trentini abbiamo solo pochi indizi: da un lato la moglie, Adolfina Vlieghe, era
stata, poco prima del loro matrimonio, una delle "discepole care" del
pianista e maestro di musica Isidoro Ghezzi; [27]
dall'altro, la sua nomina a viceconsole era stata sostenuta anche da tre potenti
proprietari terrieri, H. Fuhrmann, Ernesto Tornquist e Wilhelm Altgelt con
interessi commerciali e immense proprietà a Bahía Blanca e anche nella zona
della Sierra de la Ventana, dove, appunto, si insediarono diverse
colonie agricole, tra cui quella di Tornquist, dove si stabilirono diverse
famiglie trentine.[28]
Quindi, tenendo conto della
posizione marginale del Trentino nell'impero, di fronte all'importanza
raggiunta dai porti di Trieste e di Pola, e dall'industria marittima sulla
costa dalmata, gli immigrati trentini non solo non furono in molti, ma non
hanno neanche avuto delle personalitá di spicco né un peso politico o economico
significativo a Bahía Blanca o nella sua area di influenza. Tuttavia, sulla
base delle testimonianze disponibili, risulta possibile rintracciare la loro
presenza e le loro attività in città e in campagna, ed analizzare la loro
particolare situazione durante quei primi anni del XX secolo.
Immigrati
trentini nel sud della provincia di Buenos Aires
L'arrivo
di un gran numero di immigrati, tra cui alcune centinaia di trentini, nel sud
della provincia di Buenos Aires - sia alla zona rurale che a Bahía Blanca e al
suo porto – si produsse appena si conclusero le campagne militari di
occupazione effettiva del territorio – la cosiddetta "campagna del
deserto" – dalla metà degli anni 1880, momento dell'inizio
dell'espansione agricola e della costruzione del porto e delle ferrovie. Molti
di questi lavoratori arrivarono dopo essere stati per qualche tempo in Uruguay
o in Brasile, o in altre località situate più a Nord della provincia di Buenos
Aires: da Tres Arroyos arrivò il professore di pianoforte Isidoro Ghezzi con
moglie uruguaiana e una piccola figlia nata in Argentina; da Tandil giunse la
vedova di Giuseppe Ferrari, Maria Pasi, con il suo secondo marito, Cirilo
Campestrin, e i figli del suo primo matrimonio; da San Fernando, dove si erano
sposati qualche anno prima, arrivarono Giocondo Menestrina e sua moglie María
Segata; e dalla capitale, dalla città di Buenos Aires, dove aveva lavorato per
un paio d'anni, arrivò Francesco Nardelli. E lo fecero proprio nel momento in
cui questa remota (agli occhi di Buenos Aires), e per molti versi ancora
precaria località, cominciava a diventare una promettente città portuale e a
beneficiare dell'accelerazione dello sviluppo agricolo regionale.
Contemporaneamente, tra il 1884 e il 1890, alcune famiglie trentine si
stabilirono nella colonia di Tornquist, a 70 chilometri di distanza, ai piedi
delle Sierras de la Ventana, insieme a un consistente gruppo di famiglie
tedesche, svizzere e italiane: Alberto Mochen, sua moglie Domenica Gramola e i
loro figli; Pietro Rosa, Luigi Montibeller e Maria Toller con quattro figli;
Domingo Pompermayer con la moglie Maria Hueller e i loro cinque figli; José Zen
e sua moglie Catalina Toller; Stefano Toller con la moglie Anna e il fratello
Giuseppe; Pietro Bazzanella con la moglie Giovanna Oberosler, il fratello
Francesco e il connazionale Giovanni Dalceggio; Secondo Corn e, pochi anni dopo,
Felice, Ferdinando e Leopoldo Iseppi, e Domenico Hueller e sua moglie Anna
Rozza. Grazie alle agevolazioni previste dalla ditta che intraprese
l’istalazaione della colonia, questi coloni furono in grado di acquistare le
proprie chacras, ovvero fattorie di estensione variabile tra i 70 e 240
ettari con la possibilitá di pagarle a rate nell'arco di sei anni. Stabilitisi cosí,
propiziarono l'arrivo di altri parenti e compaisani (giovani uomini singoli)
che si integravano nelle unitá produttive come operai e bracccianti per il
lavoro nei campi.
Tuttavia, tra questa colonia di Tornquist e quelle che si erano stabilite
alcuni anni prima nelle province nord-est dell'Argentina, ci sono delle
differenze significative. Innanzitutto molte delle colonie del nord est furono il
risultato dell'iniziativa statale, come conseguenza dell’applicazione della legge
Avellaneda di colonizzazione agricola del 1876. D'altra parte, quando
nel 1878 la legge Avellaneda fu sostituita dalla Ley de ventas
per compensare il forte deficit pubblico, immense estensioni di terre pubbliche
della provincia di Buenos Aires (terre ancora inculte) furono acquisite da
grandi proprietari, allevatori di bestiame e cosí, la politica di
colonizzazione rimase interamente in mani private. Per questo motivo, le prime
colonie in questa zona del sud della provincia di Buenos Aries (Sauce Corto,
Arroyo Corto, Pigüé e Tornquist) furono fondate da imprenditori capitalisti
(Casey e la società Curamalán, Stroëder e Tornquist), che promossero lo
sviluppo agricolo (coltivazione di grano, mais e altri cereali) per accrescere
il valore e la fertilitá delle terre, e favorire posteriormente, peró, la
semina di forraggi raffinati per l’allevamento di bovini per l’esportazione
(Martinelli e Acosta, 2016; e Rey,
1974). Queste colonie agricole del sud ovest della provincia di Buenos Aires furono
il punto di partenza dell'esplosiva crescita della produzione di cereale e di
conseguenza, l’inizio dell’intensa
attivitá di esportazione attraverso il porto di Bahía Blanca. Tuttavia, il
rapido fenomeno della compravendita di chacras, che in alcuni casi
furono acquisite dai grandi possidenti e annesse alle grandi estancias (Quinteros,
2002), fu provocato dalla necessità dei coloni di accedere a unità produttive
più grandi per sostenere nel tempo i guadagni; e, dal 1900 il predominio del
sistema di arrendamiento o affitto dal 1900 fu ancora un’altra causa per
cui, in pochi anni, questi coloni trentini si allontanarono dalla colonia di
Tornquist e si dispersero nella zona.
Cosí accadde alla famiglia di Alberto Mochen e di sua moglie. Mentre i due
coniugi dopo parecchi anni in campagna Tornquist, ormai anziani, si stabilirono
nella citta di Bahía Blanca, due dei loro figli e uno dei generi si stabilirono
nei pressi di Bajo Hondo e Calderón, in campi di 450 e 500 ettari. Un altro dei
loro figli, Silvio, fu uno dei soci fondatori della Cooperativa Agricola
Bajo Hondo. Anche Pietro Bazzanella, uno dei coloni di Tornquist, si
trasferì come affittuario, chacarero, a Bajo Hondo nel 1900, in una
proprietà di 450 ettari; poi passò a Cabildo, tra il 1908 e il 1918; e infine
divenne proprietario di 200 ettari a Chasicó. Da parte sua, Domenico
Pompermayer, di Tornquist, si trasferì con la sua famiglia, prima in un campo a
Dufaur, e poi a Guaminí. Infine, le altre famiglie di coloni provenienti dal
Trentin, i Montibeller, Toller, Zen, Hueller, Iseppi, si trasferirono in
diversi campi nella zona rurale tra Cabildo, Saldungaray, Tornquist e Coronel Pringles.
Un'altra differenza riguardo alle colonie del nord est dell'Argentina era
che non c'era possibilità di tentare fortuna in altre colonie vicine perché
erano poche e le distanze tra un paese e l’altro erano molto grandi, e quindi,
quasi tutti gli uomini singoli (fratelli, nipoti, compagni dei coloni che erano
invece con le loro famiglie, come Abramo Eccher, Giuseppe Groff e Pietro Rosa),
dopo un breve tempo in campagna con i coloni si trasferivano in Bahía
Blanca, dove l'offerta di lavoro era più
ampia e varia. La costruzione dei porti di Ingeniero White e Galván a Bahia
Blanca, e le linee ferroviarie da parte delle compagnie britaniche Ferrocarril
Sud e Ferrocarril Bahía Blanca Noroeste-BAP, e anche le immense
opere del Porto Militare e Arroyo Pareja, generarono molteplici opportunità di
lavoro, pari a quelle nell’ambito dell’edilizia, il commercio e la nascente industria
legata all'attività agricola. Così, molti di loro, da lavoratori in campagna
Tornquist nel 1895, verso il 1900 erano diventati operai nelle ferrovie nel
porto nella localitiá portuale di Ingeniero White.
Inoltre, già dal 1885, sia in cittá che al porto c’erano alcuni operai e
commercianti trentini, ma il loro numero aumentò dopo il 1900: dei muratori
(Francesco Modesto, Ignazio Carli), falegnami (Augusto Bonomi), fabbri (Enrico
Herzog e Luigi Bugnoni) e almeno un pittore (Pietro Parisin). Alcuni lavoratori
ferrovieri trentini con le loro famiglie arrivarono da altre parti della provincia di
Buenos Aires e si stabilirono a Bahía Blanca, come fu il caso di Cirilo
Campestrin, un operaio del Ferrocarril Sud, che si stabilì a Ingeniero
White con la sua famiglia. Anche Giorgio Pola, a carico di una cuadriglia di Vía
y Obras del Ferrocarril Rosario Puerto Belgrano, e sua moglie,
Domenica Bailoni, vissero per parecchi anni nelle carrozze-residenza che la compagnia
forniva come abitazione in ciascuna delle stazioni in cui doveva lavorare;
infatti i loro figli frequentarono diverse scuole in alcune localitá o posti in
campagna di quel ramo ferroviario (Coronel Suárez, Huanguelén, il Divisorio). Anche nelle
quadriglie di Via e Obras, troviamo diversi cognomi trentini: Luterotti,
Agostini, Beltrami, Zamboni, Taberotti, Bassetti, Flessati, Battajiola. [29] Infine,
alcuni emigrati tornarono in patria (come Francesco Berti, socio del famoso
garage londinese di Estomba Street, nel 1913) e altri invece si trasferirono in
altre località della provincia di Buenos Aires (Ludovico Molpen, Placido
Rizzadri e sua moglie Virginia Forno).
I trentini non riuscirono a costituire un gruppo compatto e coeso né alla
colonia di Tornquist e meno ancora nella città di Bahía Blanca. Anche se di
solito il nuovo arrivato sostava al meno per un po´ nella casa o nella locanda
di uno dei suoi compaesani, il luogo di residenza era determinato dalle
attivitá che svolgeva o dal posto lavoro che riusciva ad ottenere. Cosí, sia i
ferrovieri qualificati – come Egidio Ferrari, macchinista, o impiegati
amministrativi, come Reginaldo Bertotti nella stazione di Garro nel porto di Ingeniero
White o Mario Bertolini nella stazione della Ferrovia Bahia Blanca
Noroeste – sia gli operai o segnalatori come Francesco Segata e Cirillo Campestrin,
occupavano case di legno e lastre metalliche oppure cabine (le cosidette colonias)
fornite dalle compagnie ferroviaria nei pressi dei diversi posti di lavoro, sparsi
peró in diversi punti della cittá e la localitá portuale. In centro cittá si
stabilirono alcuni trentini con le loro case commerciali – qualcuno come proprietario,
oppure come inquilini a lungo termine: Francesco Berti prosperó, assieme ai
suoi soci, con un’importante casa di noleggio di carrozze e vehicoli in via
Estomba; Antonio Bertamini, con il suo vivaio “Il Piccolo Tirolo”, di fronte
all’ Hospital Municipal , e Franceso Nardelli riusció a consolidarsi come commerciante e macellaio in
via Castelli. Vicine alle due grandi stazioni di treni di Bahia Blanca gestirono
le loro locande Giocondo Menestrina e Massimo
Nascimbeni.e anche gli ignoti proprietari
della Fonda Trentina, la Fonda Tirolesa.
Così, allora, forse a causa del loro esiguo numero e della dispersione
geografica, i legami perdurarono solo tra le famiglie provenienti dalla stessa
valle trentina, e soltanto per una generazione: da una parte, i coloni di
Tornquist, procedenti da Marter de Roncegno, ad eccezione della famiglia
Mochen; d’altra parte, gli Agostini, Menestrina, Segata e Nardelli, da
Sopramonte; poi, Bugnoni, Santuliana e Herzog, dalla zona di Arco-Rovereto; e
infine, i Carli, Ferrari, Pasi e Campestrin, dalla Val Giudicaria. Infatti, soltanto
nella colonia di Tornquist, tra 1885 e 1910 i rapporti intrafamiliari furono
più o meno stretti: troviamo alcune nozze tra i loro figli, o alcune figlie con
dei giovani maschi trentini giunti pochi anni dopo (come ad esempio Luigi
Montibeller e María Toller, i giovani Iseppi e Dalceggio, o Domenico Hueller
sposato con Ana Rozza); anche nei registri di battesimo, trovarono madrine e
padrini a vicenda i membri delle
famiglie Montibeller, Zen, Toller e Corn. Invece, i matrimoni con donne
italiane della stessa colonia (Giocondo Corn e Maddalena Barbieri) oppure con
persone argentine e di qualsiasi altra origine (come ad esempio Elvira Mochen
con Juan López Roldan, sua sorella Desolina con Manuel Martínez) furono molto
più frequenti. Anche i padrini dei bambini erano spesso argentini, spagnoli o
italiani, e, allo stesso tempo, alcuni trentini furono padrini di bambini figli
di spagnoli e argentini.
La rapida assimilazione è stata ulteriormente favorita da altri due fattori.
Da un lato, é vero che, oltre alle famiglie giunte in Tornquist (padre, madre e
parecchi figli), alcune coppie di trentini sposati si stabilirono a Bahía
Blanca (come ad esempio Giuseppe Agostini e Giovanna Vindemian, Enrico Nicoletti
e Teresa Laner, Luigi Bugnoni e Angela Santuliana, per esempio), tra cui alcuni,
sposati in Argentina (María Pasi e Cirillo Campestrin, sposati a Tandil,
Giocondo Menestrina e María Segata a San Fernando); ma con molta piú frequenza,
gli uomini arrivati singoli, sposarono delle donne italiane (Enrique Herzog e
Rosa Pozzo Ardizzi, italiana) o argentine (Egidio Ferrari, Francisca Pérez;
Celestino Menegol, Valeriana Echevarría; e Francisco Nardelli, Concepción del
Valle).
D'altra parte, i figli di tutti loro, nati e cresciuti in città o in
campagna, frequentarono una delle tante scuole primarie pubbliche che si
trovavano in città e nelle località della zona, poiché la scuola è obbligatoria
dall'età di 6 anni. Anzi, addirittura, alcuni figli e figlie di genitori
trentini fecero gli insegnanti: una delle figlie di Alberto Mochen fu maestra
in una scuola pubblica a Bahia Blanca; il figlio di Giocondo Menestrina, Juan
Luis, rivestí la carica di professore di latino e letteratura spagnola al Colegio
Nacional di Bahía Blanca, e le sue sorelle, Luisa, Ana, Maria Julia e Maria
Auxiliadora, tutte suore, furono per lunghi anni maestre di scuola nel Colegio
María Auxiliadora.
Infine, dalla lettura della corrispondenza e delle interviste con i
discendenti di trentini giunti nel periodo sotto studio, sembra che, a Bahía
Blanca, queste persone e famiglie avessero costruito costruirono dei legami di
sostegno e solidarietà con persone di qualsiasi altra provenienza, per motivi
di lavoro e quindi di classe.
E poi se la coesione tra i trentini fu assai debole, praticamente
inesistente sembra essere stato qualsiasi senso di appartenenza nazionale
all'Impero austriaco. Questa mancanza di identificazione con la monarchia
austro-ungarica come patria d'origine è dovuta, forse, a diversi motivi.
In primo luogo, la colonia di Tornquist era composta da famiglie di varia
provenienza (spagnoli, italiani, tedeschi della Russia zarista, svizzeri,
danesi, svedesi), a differenza di altre colonie in questa zona (ad esempio, a
Pigüé e i coloni francesi dell'Aveyron). Inoltre, i coloni, al meno quelli d’origine
trentina, si sparsero in diversi punti del sudovest della provincia di Buenos
Aires, motivo per cui i legami tra loro si indebolirono, e se ci fossero stati,
i rapporti con il rappresentante consolare, sarebbero stato molto piú difficili
a causa delle distanze, e della dispersione geografica.
Un'altra ragione fu che, malgrado la presenza di rappresentati diplomatici
nella capitale, e di una Società austro-ungarica di mutuo soccorso promossa da
Nicolás Mihanovich a Buenos Aires dal 1899, la monarchia austriaca non aveva
previsto istituzioni di assistenza ai suoi emigrati. [30] Perció,
con lo scopo di avere protezione medica e una assicurazione in caso di malattia
o infortunio, gli immigrati trentini si associarono alla Società Italiana di
Mutuo Soccorso XX Settembre di Bahía Blanca,[31]
tanto i coloni di Tornquist – quando nel 1889 la Società Italiana creò un
sottocomitato in quella localitá e nominò una persona incaricata di riscuotere
la quota mensile nella colonia – quanto quelli stabilitisi a Bahía Blanca e
Ing. White. Si puó leggere nel Registro ammalati che alcuni di loro furono
visitati da noto dottore Leónidas Lucero e ricevettero un'indennità per
malattia, ad esempio, Pietro Parigini, Isidoro Ghezzi, Anibale Marcolla, Pietro
Flessati e Ignazio Carli.
[32]
Infine, va considerata anche la questione della lingua e della comunità
linguistica di riferimento. Sebbene il tedesco fosse stata la lingua delle
classi dirigenti e delle élite intellettuali ed economiche dell'Impero, la maggior
parte della popolazione contadina trentina conosceva solo poche parole di
tedesco, poiché non veniva insegnato nelle scuole primarie del Trentino
(Antonelli, 2015). Infatti, l'italiano era la lingua d'uso nell’area del
Sudtirolo fin dal Medioevo, il suo insegnamento era stato garantito dalla legge
austriaca fin dai tempi dell'imperatrice Maria Teresa (1775), e veniva
utilizzato per risolvere tutte le questioni commerciali, amministrative e
giudiziarie. Pertanto, i nomi e i cognomi di buona parte dei trentini erano
italiani, la loro lingua madre era il proprio dialetto di matrice latina, e a
scuola imparavano l'italiano. Da emigrati, scrivevano le loro lettere in
"italiano", anche se in realtà quella era un'interlingua nella quale
s’abbinava il modello letterario toscano imparato nella scuola popolare del paese,
con il dialetto trascritto a orecchio, nel miglior modo possibile. Per tutti
questi motivi, dunque, pero loro, molto probabilmente, il console
austro-ungarico, e per di piú un inglese nato a Trieste, non era che uno
straniero in piú.
Comunque, d'altra parte, ci si potrebbe chiedere se questi immigrati
trentini si fossero identificati invece con la comunità italiana di Bahia
Blanca. (Martinez Flener e Prutsch, 2018). Infatti, in queste terre si
trovarono di fronte a una grande quantitá di immigrati italiani procedenti da
tutti gli angoli della penisola, in tutti i livelli sociali, e con una
partecipazione attiva in quasi tutte le istituzioni della cittá, con le loro
scuole private e propri spazi ricreativi – la Società Italiana di Mutuo
Soccorso XX Settembre, la Società Italiana di Mutuo Soccorso, la Società
Italiana Meridionale, la Societá Unione
Operai, diverse logge massoniche e persino, a volte, delle pubblicazioni in
italiano come L'Italiano o La Frusta. Anche lo Stato italiano,
attraverso il suo console, riuscí ad avere una forte presenza pubblica, con notevole
profusione di atti, parate e discorsi in occasione di ricorrenze patriottiche
sia argentine che italiane, con il sostegno della prospera borghesia locale, che
contava con parecchi italiani tra le sue figure più cospicue.
Anche se qui, naturalmente, non ci fu l'ingrediente specifico
dell'irredentismo, l'efficacia di quei discorsi si fece quando, appena iniziata
la guerra, il 7 agosto 1914, su uno dei quotidiani locali, La Nueva
Provincia, si leggeva: "L'Italia dichiara guerra alla Germania. Il
popolo italiano chiede la riconquista di Trento e Trieste".[33]
Tuttavia, è probabile che per questi immigrati arrivati tra il 1885 e il 1912, tutta
questa retorica nazionalista legata all’irredentismo, nonostante la sua
diffusione tra le classi borghesi in Trentino, fosse stata qualcosa di così
remoto e lontano come risultava per loro anche quello stato imperiale e il suo
imperatore Francesco Giuseppe. Per di piú, loro non vissero in prima persona le
situazioni estreme che i loro parenti e compaesani soffrirono in Trentino
dall'inizio della guerra nel 1914: né la leva e la mobilitazione di tutti gli
uomini tra i 17 e i 45 anni verso il fronte orientale, soldati dell’esercito
austriaco contro i russi in Galizia, in Polonia, né le lunghe marce verso il
fronte di combattimento, né la morte di compagni e parenti, né la prigionia in
Russia né, dopo il 1915, l'apertura del fronte meridionale contro l'esercito
italiano e la conseguente evacuazione della popolazione civile dai villaggi
situati nella linea di fuoco verso altre regioni dell'impero. Di tutte queste
circostanze e terribili esperienze, che costrinsero i trentini rimasti nella
loro terra a porsi radicalmente la questione della patria in termini di
nazionalità, i trentini presenti nel sud della provincia di Buenos Aires
avrebbero potuto venirne a conoscenza soltanto attraverso la corrispondenza
epistolare con i loro parenti, se fosse stata possibile, poiché la stampa
locale, durante tutto il conflitto, solo riportava, e con tanti particolari, i
movimenti, le sconfitte e le vittorie dell'esercito italiano. Infatti, sulla
rivista culturale locale Arte y Trabajo del settembre 1918, sotto due
fotografie delle cittá di Trento e Trieste, si legge: "Le nobili
aspirazioni italiane".[34]
A
questi fattori si aggiunge la questione giuridica della cittadinanza. Appena
finita la guerra, il 10 settembre 1919 fu firmato il Trattato di Saint Germain,
per la regolazione dei rapporti tra il Regno d’Italia e i territori che erano
appartenuti all'Impero austriaco. Gli articoli 70 e 78 stabilivano che
l'annessione del Trentino implicava ipso facto l'estensione della
cittadinanza italiana a tutti i residenti in quel territorio e anche a quegli
emigrati, che nel corso di un anno, a partire dal 1919, fossero tornati in Trentino,
condizione questa che era, in pratica, irrealizzabile per la maggior parte di
coloro che si trovavano in America, sia per ragioni economiche oppure perché
non riuscirono neanche ad avere notizia di questa condizione. Poi, il 12
novembre 1921 fu sancito il Regio Decreto n. 1594 per regolamentare questa
disposizione, che stabiliva la realizzazione di un censimento generale della
popolazione nei territori annessi al Regno d’Italia dopo la guerra, a carico
del podestà di ciascun comune, e che offriva agli emigrati la possibilità, per
un anno, di presentarsi davanti al corrispondente consolato italiano ed
esprimere la propria volontà di acquisire la cittadinanza italiana. Ma in
America furono pochissimi quelli che ricevettero queste informazioni, e ancora
meno quelli che eseguirono la procedura corrispondente nel corso deli’anno
1922. Solo settanta anni dopo, nel 1992 è stato ammesso il principio della
"doppia cittadinanza", cosicché i trentini emigrati prima del 1920 ottennero
un riconoscimento da parte dello Stato italiano: comunque, la cittadinanza
italiana poteva essere concessa ai discendenti di emigrati austroungarici di
lingua italiana solo fino alla seconda generazione, e a condizione che si
fossero trasferiti in Italia (Olivetti, 2009). Fu nell'anno 2000, con la legge
379, che il diritto alla cittadinanza italiana fu riconosciuto aegli emigrati
prima dell'annessione del Trentino al regno d'Italia e ai loro discendenti. Infatti,
questa legge riconosceva il diritto "per scelta" con effetto ex
nunc, facendo riferimento alla data della dichiarazione di volontà
dell'interessato, piuttosto che un diritto di sangue iure sanguinis.
Tuttavia, questa legge é stata in vigore solo per dieci anni, fino al 2010.
Quindi, l'essere nato in qualche territorio dell'Impero austriaco
implicava, per i suoi abitanti ed emigranti, legalmente, una nazionalità, ma
non un impegno da parte di quello Stato nei loro riguardi. Nel caso particolare
dei trentini, la loro condizione di sudditi di lingua italiana, cioè appartenenti
a una comunità linguistica minoritaria e il fatto di aver trovato nella terra
dell'emigrazione una scarsa presenza dello Stato austriaco, furono forse alcuni
dei fattori che li spinsero ad una rapida assimilazione con gli italiani e le
loro istituzioni. Poi, la scomparsa dell'Impero austriaco alla fine della Grande
Guerra, l'annessione del Trentino allo Stato italiano e l'avvento del fascismo furono
circostanze che contribuirono a condannare al silenzio, anche qui in queste
terre, la memoria del carattere specifico e singolare di questi immigrati e di
quelle comunitá e istituzioni di procedenza che, in quegli anni, sia in Italia
che Argentina furono ridefinite sulla base di concetti omonimi ma con profonde
differenze di significato.
Conclusioni
La
presenza di un consolato austro-ungarico nella cittá di Bahia Blanca, con il
suo promettente porto, avrebbe fatto pensare alla presenza di un numero
significativo di immigrati procedenti dall'impero. È vero che gli imprenditori
marittimi e i marinai croati ebbero un'enorme gravitazione nell'origine e lo
sviluppo del porto locale, ma gli immigrati trentini, in termini quantitativi, furono
una quantità esigua rispetto alle cifre di altre regioni dell'America Latina o
rispetto al numero di immigrati italiani stabilitisi in questa zona. In quei
primi anni del Novecento, non ci furono neanche personalità di spicco tra loro né
per la loro attività pubblica nemmeno per il loro livello socioeconomico. Si
trattava, invece, come abbiamo visto, di alcune centinaia di agricoltori,
commercianti, artigiani e operai.
Tuttavia, il concetto di "rete fitta", applicato alla lettura di
queste fonti e su quel piuttosto piccolo numero di persone, ci ha permesso di
osservare una serie di questioni riferite alla storia dei movimenti migratori
del primo Novecento e alla storia del sud della provincia di Buenos Aires: che
questi immigrati arrivarono non tutti in insieme, in modo massiccio, e quasi
sempre, dopo essere stati in Brasile, Uruguay, Buenos Aires o in altre località
più a nord della provincia di Buenos Aires; che il rapido e capillare inserimento
si é dovuto non alla presenza di una struttura ricettiva ufficiale o di una
preesistente comunità trentina, ma piuttosto alle diverse possibilitá di lavoro
disponibili, alle diverse possibilità di accesso alla proprietà fondiaria e poi,
infine, all'efficacia del sistema educativo locale. Questa analisi ha anche
permesso di chiarire in che senso funzionassero i concetti di
"nazione" e "comunità di appartenenza" e ci ha permesso di
capire perché, poiché qui non si è formata né una colonia né una collettività,
un certo senso di identificazione regionale ha perdurato soltanto tra alcuni
dei loro discendenti.
Contemporaneamente in Trentino, invece, la dissoluzione dell'Impero
austriaco e la condizione di sconfitti con cui tornarono le diverse migliaia di
uomini che avevano combattuto sul fronte russo o italiano, l'annessione del
Trentino al Regno d'Italia e la forzata "italianizzazione" di tanti
aspetti della vita quotidiana (dalla traduzione di toponimi e cognomi, al
silenzio imposto sui caduti trentini con la divisa dell’esercito imperiale),
furono circostanze che favorirono il consolidarsi della coscienza di una
propria identità ben definita. Invece, qui in provincia di Buenos Aires, questi
"austriaci" di lingua italiana si assimilarono e si integrarono nella
società locale, e divennero i punti di riferimento che, dopo la prima guerra
mondiale, articolarono, dal 1924 l'arrivo della seconda ondata di immigrati
trentini – già con passaporto italiano – nella nostra zona.
Bibliografia
Fonti
Interviste
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Campestrin, Norma (figlia del figlio
di Cirilo Campestrin e Maria Pasi, e nipote di Carlo Guerino, Paolo Valeria e
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Menestrina, Josefina (nipote di
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Montejo, Néstor (nipote di Egidio
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Annali
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Libro
di cassa nº 1, dal 10 ottobre 1886 al 31 gennaio 1899, Archivo de la Sociedad Italiana de
Socorros Mutuos de Bahía Blanca.
Registro
ammalati. Periodo assitenza 26-12-1886 al 7-11-1900, Archivio della Sociedad Italiana de Socorros Mutuos de Bahía Blanca.
Ruoli
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[1] Universidad
Nacional del Sur - Ferrowhite Museo-Taller. anaceciliamiravalles@gmail.com.
[2] Ringrazio la Dott.ssa Patricia Orbe e il Dott. José
Marcilese, del Dipartimento de Humanidades dell'Universidad Nacional del Sur,
per i loro suggerimenti, commenti e lo stimolante spazio di riflessione offerto
nel loro seminario; il Dott. Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione
Museo Storico del Trentino, per la possibilità di consultare i documenti
riferiti a Bahía Blanca conservati nell'Archivio di Stato di Vienna; la Dott.ssa
Milagros Martínez-Flener, dell'Università di Monaco, per il suo incoraggiamento
e consiglio; la Proff.sa Nélida Iglesias de Fabrizzi, dell'Università del Sud,
per il suo aiuto con i documenti in tedesco scritti a mano con calligrafia
Kurrent; e infine tutti gli amici del Circolo Trentino di Bahía Blanca.
[3] Il nome Trentino divenne popolare negli ultimi anni
dell'Ottocento. Tradizionalmente, nell'area di lingua tedesca dell'impero
veniva usati i termini Welschtirol, Tirolo italiano o Sudtirol. Cf
Tonezzer (2009).
[4] L'esigenza di un'autodefinizione in termini di
nazionalità si pone solo all'inizio del '900 con la diffusione
dell'irredentismo e soprattutto, al momento della leva militare all'inizio
della Grande Guerra. Cf. Mazzini (2010).
[5] Sulla composizione regionale dell'immigrazione
italiana in Argentina in questo periodo, cfr. Devoto (2008).
[6] Ad esempio, Devoto scrive: “Sampacho, colonia
popolata prevalentemente da friulani e trentini, questi ultimi di cittadinanza
austriaca: molto probabilmente con tale identità, crearono la Società
austro-argentina” (2008: 124).
[7] Stefanetti-Kojrowicz e Prutsch (2005) studiano
le colonie di immigrati polacchi dalla Galizia che si sono stabillite nella
provincia di Misiones. Si possono consultare anche i saggi di Martinez-Flener
(2017), Martinez Flener e Prutsch (2018) e Radovich (2020).
[8] Per quanto riguarda le colonie dell'Argentina
nord-orientale, sono interessanti le note di Peyret (1889), e gli studi di Cracogna
(1988) e Stefanetti-Kojrowicz e Prutsch (2005).
[9] Si possono
consultare nel sito https://www.familysearch.org/es/.
[10] Consularwessen
Bahía Blanca, Fondo
Ministerium des Aussern, Administrative Registratur, nº 8-72-1, Archivio de
Stato di Vienna (citato como Fach 8-72-1, HHStA).
[11] “Austria-Hungrìa.
La colonia austrohúngara en la Argentina” (9 de julio
de 1916), La Naciòn, suplemento especial,
pp. 611-620. Sui fratelli Mihanovich e lo sviluppo della navigazione di cabotaggio
in Argentina allá finel dell’Ottocento, cfr. Caillet-Bois (1929); e sui suoi
legami con il potere a Vienna, Blaschiz (1992); sul ruolo di Nicola come
imprenditore, cfr. Caruso (2014); e sulle sue vicende come viceconsole a Buenos
Aires, cfr. Deusch (2017).
[12] Il 5 settembre 1887 fu nominato "socio
protettore" della Società Italiana XX Settembre; il 15 aprile 1893,
padrino del battesimo di un bambino, e almeno fino al 1897, possedeva un appezzamento
di terreno nel porto di Ingeniero White. Nel 1889 si stabilì ancora a Buenos
Aires dove fondò la Compañía Sudatlántica e, con le navi Austria
e Vaca, organizzó un servizio di cabotaggio con viaggi settimanali per
il trasporto di merci e passeggeri tra Buenos Aires, Bahía Blanca e Patagones.
Cfr. Caillet-Bois (1929).
[13] Per
capire queste differenze risultano indispensabili gli studi di Matsch (1986), Blaschitz (1992) e Agstner (2012b), e, in
particolare, riguardo all’America Latina e Bahía Blanca, Agstner (2012a).
[14] Ufficio per la
mediazione del lavoro della Camera di Commercio e Industria in Rovereto (1908), Gli emigranti
del Trentino, Rovereto, Tipografia Grigoletti.
[15] Per evitare un così lungo viaggio per mare, molti emigranti
si recavano per via terrestre in qualche altro porto europeo, (francese,
tedesco o spagnolo) come si può verificare nella banca dati CEMLA
(Centro de Estudios Migratorios Latinoamericanos), alla voce "porto",
e come spiega Raffaeli (1990-1991 ) e analizza ancora meglio Kalc (2014).
[16] Cf. Prutsch (1998) e Olivetti (2009).
[17] Joseph Oliver Croft, figlio di inglesi, nacque
il 23 dicembre 1868 a Trieste, dove trascorse la sua giovinezza e ricevette la
sua educazione. Stabilitosi a Bahía Blanca al meno dal 1887, nel 1893 sposò
Adolfina Vlieghe, e dal 1894 fu socio-proprietario, insieme a Diego Meyer e
Juan Denker, di una delle più importanti case commerciali della cittá, Barraca
Unión, poi D. Meyer y Cía., dedicata all'importazione di ferramenta,
macchine agricole e materiali da costruzione, e all'esportazione di cereali,
lana, e cuoio. Fece parte anche del consiglio di amministrazione della Società
Rurale tra il 1906 e il 1908, del Comitato Pro-Bahía Blanca. Sua moglie,
Adolfina Vlieghe, era una figura notevole nella società locale, e la loro
figlia, Adolfina Croft, sposò l'ingegnere Francisco Salamone, famoso per i suoi
lavori di architettura nella provincia di Buenos Aires durante gli anni '30.
[18] Leopold Koziebrodsky,
Buenos Aires, 24 luglio 1902 [Lettera del rappresentante dell’Impero a Buenos
Aires al Ministero di Affari Esteri], Fach 8-72-1, HHStA.
[19] Leopold Koziebrodsky,
Buenos Aires 24 luglio 1902 [Lettera del rappresentante dell’Impero a Buenos
Aires al Ministero di Affari Esteri]; Pohl, G, 29
settembre 1902 [Lettera del console a Buenos Aires spedita al
ministro-ambasciatore Leopold Koziebrodsky raccomandando Joseph Oliver Croft come
vice console onorario a Bahía Blanca], Fach 8-72-1, HHStA.
[20] Freiherr von Rehmen, Buenos Aires, 9 febbraio 1906, [Relazione
sulla convenienza di aprire un viceconsolato a Bahia Blanca] Fach 8-72-1, HHStA.
[21] Freiherr von Rehmen, Buenos Aires, 13 settembre 1906, [Lettera
al Ministero di Affari Esteri
Koziebrodsky raccomandando Joseph Oliver Croft come vice console onorario a
Bahía Blanca], Fach
8-72-1, HHStA.
[22] Su uno dei quotidiani local si informa sui danni provocati
dalla tepesta (), La Nueva Provincia,
19 marzo 1902; e sulle procedure per la riparazione della nave, il cui
contratto, si informa, sará firmato dal viceconsole tedesco La Nueva Provincia, 23 marzo 1902.
[23] Ministero di Commercio,
Vienna, 7 lulgio 1906 [Lettera al Ministero di
Affari Esteri per manifestare l’accordo sulla nomina di Croft come viceconsole
a Bahía Blanca], Fach 8-72-1, HHStA.
[24] Ministero di Affari Esteri, Vienna, 30 novembre 1906 [Schizzo
della nomina di Croft come viceconsole a Bahía Blanca], Fach 8-72-1, HHStA.
[25] Dopo alcuni anni in cittá, nel 1901 Croft fece
costruire una casa in via Rondeau 51, che allo stesso tempo fungeva da sede del
viceconsolato. Nel 1921 commissionò all'architetto catalano Pedro Cabré Salvat
la costruzione di un secondo piano, il cui risultato fu considerato da molti la
bella “casa catalana”, la sua residenza permanente. Croft possedeva anche una
fattoria dedicata alla coltivazione di fiori. Nel 1917 si ritirò dalla ditta
Meyer e cessò formalmente le sue funzioni come console il 12 novembre 1918.
Dopo essere stato assente per diversi anni, Croft morì a Bahía Blanca il 21
agosto 1935.
[26] Joseph Oliver Croft, Bahía Blanca, 27 de septiembre de 1902
[Dichiarazione di accettazione degli
incarichi e degli obblighi come Vice Console Onorario], Fach 8-72-1, HHStA.
[27] Isidoro Ghezzi nacque a Daone il 13 gennaio 1853, come si
legge nel foglio 16 del Libro di matrícola della Società Italiana di Mutuo
Soccorso di Bahia Blanca, vol.1, foglio 16, 1887. Giunse in citta invitato dal
párroco, don Oreiro per suonare nel tempio il tedeum in occasione della festa
patria del 25 maggio. Ben presto però fu chiamato ad animare con musica leggera
alla moda le riunioni e i balli che si svolgevano nelle sale del municipio, nel
Bar de los Ocho Billares, di Francisco Iguacel, e nell'aristocratico Club
El Progreso, e partecipò addirittura all'inaugurazione del tempio massonico
della Loggia della Stella Polare nel marzo 1890. Insegnava pianoforte e
violino, e organizzava periodicamente serate letterarie e musicali, nelle quali
presentava anche composizioni proprie. In un'occasione, nel 1889, eseguì per la
prima volta due mazurke, "Villa Olga" e "Bahía Blanca";
una, dedicata a Pablo Neumayer, l'ingegnere argentino che lavorò in quegli anni
al servizio di Ernesto Tornquist, misurando i terreni della colonia e disegnando
i piani per la localitá di Tornquist; l'altra fu dedicata alle sue “care allieve”,
figlie di ricchi commercianti locali: Ana Vanoli, Elvira Tellarini e Adolfina
Vlieghe, la futura moglie del vice console Joseph Oliver Croft.
[28] Croft, Joseph Oliver, Bahía Blanca, 30 maggio
1902 [Curriculum Vitae], Fach 8-72-1
HHStA.
[29] Ferrocarril
Buenos Aires al Pacìfico, Vía y Obras -
Registro de personal (1900-1924), e Ferrocarril Sud, Vía y Obras, cuadrillas especial de alambradores (1894-1920), Fondo
Ferrocarriles Bahía Blanca, Archivio Ferrowhite-Museo Taller
[30] In 1908, l’
Ufficio per la
mediazione del lavoro informava che gli emigrati trentini non si
recavano presso i consolati austroungarici perché pensavano che avrebbero
ricevuto scarsa assistenza e riferivano addiritura dei casi in cui i
richiedenti non ne avevano ricevuta nessuna. Per ció, di solito erano ammessi
nelle Societá Italiane, come nel caso di Bahia Blanca.
Cfr. Grandi (1990).
[31] Libro de
actas 1886-1896 de la Società Italiana Mutuo Soccorso di Bahia Blanca XX
Settembre, 12 giugno 1887, 13 giugno
e 26 lueglio 1891.
[32] Registro
ammalati. Periodo assitenza 26-12-1886 al 7-11-1900 de la Società Italiana
Mutuo Soccorso di Bahia Blanca XX Settembre, marzo 1893; e Libro
di cassa, n° 1, dal 10 ottobre 1886 al 31 gennaio 1899.
[33] “Italia
declara la Guerra a Alemania. El pueblo italiano pide la reconquista de Trento
y Trieste” [Italia dichiara la guerra allá Germania. Il popolo italiano chiede
la riconquista di Trento e Trieste], La
Nueva Provincia, 7 agosto 1914, p.1.
[34] “Las nobles aspiraciones italianas” [Le nobili pretese
italiane], Arte y Trabajo, septiembre
de 1918, p. 6.
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